Come fece William Shakespeare con il folletto Puck per la sua opera “Sogno di una notte di mezza estate”, Korine utilizza le sembianze di un ragazzino con un cappello da coniglio per introdurre i suoi personaggi, e in seguito scandagliare le vicende dei vari episodi intrecciati in questa pellicola che mescola con maestria realtà, con l’ausilio dello stile del documentario riprendendo realmente la gente di strada, e finzione raccontando le incredibili storie interpretate dal cast di attori. È così che Korine illustra le vicende di una cittadina di Xenia, Ohio; lacerata dalla povertà in seguito al passaggio di un tornado. Seguiamo le vite di Tummler e Solomon, cacciatori di gatti, e di Dot e le sue sorelle, giovani ragazze alla scoperta della pubertà. Personaggi che sopravvivono nella ghettizzazione, nella società inebriata dalla cultura pop, dal culto del denaro e dall’ossessione per la sessualità.
Korine realizza un teatro weird da cui è impossibile non rimanere stregati poiché attoniti nello scoprire una sub cultura di una cerchia nascosta di emarginati sociali, sopravvissuti loro malgrado in un’apparente bolla di surrealismo, incredibile quanto vera. Performance spontanee di un cast scelto per completare l’idea di verismo, dove si riconosce una giovane Chloë Sevigny qui anche costumista per Korine. Un regista che ha fatto suo manifesto il racconto di personaggi outsider del nostro tempo. Iconica quanto paradossale, è la scena finale del bagno di Solomon: geniale e grottesca, simboleggia ancora una volta l’esistenza ai margini dei suoi protagonisti, in una realtà parallela in bilico tra bestialità e civilizzazione, innocenza e crudeltà.