Da Jane Campion a Sofia Coppola: 10 registe che hanno cambiato il cinema

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Di Gabriele La Spina
In una società come la nostra purtroppo sempre più spesso mirata al maschilismo, Hollywood non è da meno, basti pensare a quante poche siano le registe donne nell’ambiente cinematografico rispetto alla considerevole maggioranza maschile. La causa non è ovviamente la mancanza di talento registico nelle donne dietro la macchina da presa, ma bensì la difficoltà per queste di affermarsi nel mondo cinematografico, ostile nei confronti di pellicole dalla prospettiva femminile e femminista.

In occasione della Giornata internazionale della donna, celebriamo le donne nel cinema attraverso le grandi pellicole di registe che si sono affermate a Hollywood abbattendo barriere all’apparenza insormontabili. Perché lo stile di una donna alla regia è immediatamente palpabile fin dai primi instanti della pellicola. Spesso abbiamo a che fare con ritratti più intimisti e introspettivi dei film di direzione maschile, e nella maggior parte dei casi le protagoniste delle loro storie sono donne: personaggi femminili di grande forza, iconici e indimenticabili. 
Queste grandi regista hanno costruito la loro carriera superando ogni pregiudizio e conquistando la critica mondiale, in molti casi già dal loro film d’esordio. Donne che sono ancora oggi protagoniste del cinema e da cui aspettiamo ancora grandi conferme. Eccovele raccontate attraverso il loro film più rappresentativo.
Jane Campion – Bright Star (2009)
Non può esserci nome più rappresentativo della categoria femminile oltre quello di Jane Campion. Le sue straordinarie pellicole come Lezioni di piano e Ritratto di signora, hanno raccontato la donna nel cinema in un modo mai fatto prima. Il suo ultimo lungometraggio, Bright Star, portava alla luce la storia del poeta inglese John Keats attraverso la prospettiva del suo amore Fanny Brawne, sua vicina di casa e candida studentessa di alta moda. La Campion crea un ritratto di assoluta poesia, con giochi di cromatismi realizza un’atmosfera del tutto trasognante. L’improbabile coppia nei primi tempi è in disaccordo, soprattutto perché lui la considera una civettuola “fashion victim”, disinteressata sia alla sua poesia sia alla letteratura in generale. Ma quando Fanny viene a sapere che il fratello più giovane del poeta è gravemente malato, la sua compassione e la sua vicinanza toccano il cuore di Keats alimentando di poesia la loro relazione, appianando le diversità e compensando una certa mancanza di passione, fino a trasportarli in un crescendo emotivo che rasenterà l’ossessione. Il suo è un cinema sospeso in un limbo emozionale.
Kathryn Bigelow – Zero Dark Thirty (2012)
Regista di grande forza e audacia ha dimostrato al mondo che non esistono film e argomentazione che le donne non possano trattare nelle vesti di regista. Prima donna a vincere l’Oscar come miglior regista con The Hurt Locker nel 2010, la Bigelow ha raccontato in modo eccezionale la caccia all’uomo più importante del secolo. Dal giorno dell’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, Osama bin Laden e il suo gruppo di talebani diventano il nemico numero uno del governo degli Stati Uniti. Per dieci lunghissimi anni, contraddistinti da avvistamenti, depistaggi e panico per l’eventualità di altri attentati, Maya e i colleghi agenti speciali della Cia, con l’aiuto delle forze dei Navy Seals, hanno il compito di rintracciarlo e consegnarlo al Paese, vivo o morto e a rischio delle loro stesse vite.
Jennifer Kent – Babadook (2014)
Sbalorditivo esordio alla regia, dove la Kent dimostra capacità tecniche senza euguali. La regista australiana realizza un film carico di citazioni ed efficace nel suo minimalismo. Sei anni dopo la violenta morte del marito, Amelia deve fare i conti con gli incubi di Samuel, il figlio di sei anni. I sogni del bambino sono tormentati dalla presenza di un mostro che ha intenzione di uccidere lui e sua madre. Quando un inquietante libro di fiabe chiamato The Babadook viene ritrovato in casa, Samuel si convince che sia proprio il babadook la creatura che non lo lascia in pace. A poco a poco anche Amelia comincia a percepire un’inquietante presenza intorno a sé, realizzando che ciò di cui Samuel la avvertiva potrebbe essere reale. Libero dagli stereotipi a cui il cinema horror mainstream ha abituato il pubblico, Babadook ricalca le atmosfere dell’espressionismo tedesco, a cominciare dal personaggio che dà il nome alla pellicola, e spaventa senza l’ausilio di jump scare o stratagemmi legati agli effetti sonori. La paura più cruda che la Kent riesce a rendere nella sua pellicola è frutto di geniali intuizioni e un’ottima tecnica registica
Sofia Coppola – Il giardino delle vergini suicide (1999)
La figlia d’arte, Sofia Coppola, è probabilmente una delle registe più popolari del cinema di oggi. Il suo modo di raccontare le storie; spesso riguardanti personaggi malinconici, reietti e pesci fuor d’acqua nelle loro stesse vite; è intimista e notevolmente introspettivo. Con il suo film d’esordio, ha portato sul grande schermo il romanzo di  Jeffrey Eugenides sulle cinque sorelle Lisbon, Cecilia, Lux, Bonnie, Mary e Teresa, che si sono trasformate in creature sublimi sul punto di diventare delle donne stupende. Affascinati da queste bellissime ninfe, i ragazzi del vicinato le spiano nel tentativo di penetrare nel loro cuore. Quando la figlia più giovane Cecilia si uccide, l’attrattiva nei ragazzi si acuisce, trasformandosi in curiosità perversa.
Lynne Ramsay – …e ora parliamo di Kevin (2011)
Eva ha messo tra parentesi la sua vita professionale e tutte le sue ambizioni personali per dare alla luce Kevin. Eppure la comunicazione tra lei e suo figlio è piuttosto complessa sin dall’inizio e quando Kevin ha 16 anni, finisce per commettere l’irreparabile. Eva si interroga allora sulle sue responsabilità e ripercorrendo le tappe della sua vita con suo figlio tenta di comprendere cosa avrebbe dovuto fare diversamente. La maternità viene raccontata dalla Ramsay in una maniera mai affrontata prima. Terrificante per il suo realismo, psicologico nei ritratti dei suoi protagonisti. Una regia in continua sospensione tra surrealismo e analisi. 
Lisa Cholodenko – I ragazzi stanno bene (2010)
Il comedy drama di Lisa Cholodenko, rappresenta non solo uno dei migliori film di direzione femminile degli ultimi anni, ma al tempo stesso anche un grande pezzo della filmografia LGBT. La sua brillante sceneggiatura, ben interpretata dalle grandiose Julianne Moore e Annette Bening, racconta senza sotterfugi e stereotipi di alcun genere, la normalità nella famiglia moderna. Il film segue infatti le vicende di un fratello e una sorella concepiti con il metodo dell’inseminazione artificiale tramite sperma di un donatore, risalgono all’identità del loro padre naturale e fanno in modo di conoscerlo. L’introduzione dell’uomo nella vita familiare è destinata ad alterarne completamente l’equilibrio. I suoi personaggi vengono così mostrati in ogni loro fragilità, ma nella considerazione dell’amore come forza universale infrangibile.  
Ava DuVernay – Selma (2014)
Quello della DuVernay è un film sicuramente di stampo classico ma che ha un grande valore storico-culturale. Selma racconta infatti la storia dei tre tumultuosi mesi del 1965 durante i quali il riverito e visionario Martin Luther King condusse una pericolosa campagna per garantire il diritto al voto ai neri contro una violenta opposizione bianca. L’epica marcia da Selma a Montgomery culminò con la firma del presidente Johnson del Voting Rights Act, una delle vittorie più significative per il movimento dei diritti civili. La solidissima regia della DuVernay porta alla luce la situazione di un popolo, attraverso un racconto mai tanto attuale quanto oggi. Ciò rende Selma uno dei film più importanti tra quelli citati.

Patty Jenkins – Monster (2003)
La regista porta sul grande schermo con grande coraggio nonché audacia la storia di Aileen Wuornos, una donna che si mantiene prostituendosi, e commette il suo primo omicidio per legittima difesa. La vittima è un cliente che l’ha massacrata di botte e ha tentato di stuprarla. La violenza subita scatena in lei una reazione a catena che la spinge a commettere altri omicidi. L’unica speranza di redenzione è Selby, la ragazza di cui Aileen si è innamorata e che è scappata di casa per stare con lei. I fatti vengono raccontati con crudezza, e quello dell Jenkins è un cinema senza fronzoli. La sua direzione è complice nell’aver sorretto una straordinaria performance di Charlize Theron, che ha vestito uno tra i personaggi femminili più controversi del grande schermo negli ultimi anni.
Andrea Arnold – Fish Tank (2009)
La britannica Andrea Arnold, tra Franco Zeffirelli e Harmony Korine, ma più attualizzata del primo e meno delirante del secondo, recupera attori dalla strada, in primis la sua protagonista, e come nella vita vera gli attori non hanno in mano un copione, se non il giorno delle riprese. Il film segue la storia di Mia, una quindicenne che finisce sempre nei guai. A scuola le cose non vanno per niente bene per lei e non ci sono molti amici a farle compagnia. Un giorno d’estate sua madre porta in casa un nuovo fidanzato, il cui arrivo potrebbe sconvolgere la vita di Mia. L’acquario nella quale si sente intrappolata la protagonista di Fish Tank, non è altro che il complesso di case popolari in un quartiere desolato fatto di delinquenti, madri inadeguate e cani rabbiosi. La protagonista che interpreta il ruolo di sé stessa intraprende una fuga da quell’acquario urbano, non è altro che il vuoto di cui ognuno di noi è vittima. Uno splendido gioiellino indie, anticonvenzionale e sincero.

Mary Harron – American Psycho (2000)
Capolavoro thriller ampiamente sottovalutato, che ha portato alla notorietà la straordinaria Mary Harron ancora prima regista del bellissimo Ho sparato a Andy Warhol (1996). Il film è incentrato sulla figura di Patrick Bateman, un uomo che ha tutti i numeri in regola per sembrare perfetto; in realtà, cerca di omologarsi all’immagine anonima del classico yuppie di Wall Street. Ciò che lo interessa veramente è avere vestiti firmati e automobili di marca: la brama di sangue che lo porta a massacrare selvaggiamente e senza alcuno scrupolo tutti coloro che vengono a contatto con lui è legata proprio al desiderio di possesso. Una satira ben leggibile, in un film al limite della follia. La Harron sfora a tutti gli effetti lo stereotipo della regista dallo sguardo al femminile, e dirige uno straordinario Christian Bale.
Altre registe da non dimenticare: Claire Denis, regista del magnifico Cannibal Love (2001); Kimberly Peirce per il suo Boys Don’t Cry (1999); Debra Granik, regista di Un gelido inverno (2010). Julie Taymor, regista del riuscitissimo biopic Frida (2002); Lexi Alexander per Hooligans (2005); Lone Scherfig per An Education (2009); la grandiosa Sally Potter, regista di Orlando (1992). La regista del recente The Invitation (2015), Karyn Kusama; e poi Kelly Reichardt per Certain Women (2016); Maren Ade per Toni Erdmann (2016), e infine impossibile non citare Lucrecia Martel, regista del capolavoro La donna senza testa (2008).
Chi per voi è la più grande regista del panorama cinematografico contemporaneo?

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