Di Simone Fabriziani
E allora in questo anno così complesso eppure così vitale, quali sono stati i titoli che la Redazione ha visto ed apprezzato in maniera tale da rientrare nella TOP 5 da tradizione? Ecco i cinque lungometraggi che hanno lasciato il segno, almeno per noi:
In ordine puramente alfabetico:
Annette (dir. Leos Carax)
Il musical di Leos Carax, primo tentativo dietro la macchina da presa in lingua inglese per l’autore cult di Holy Motors, è anche l’operazione cinematografica più abbacinante, vorticosa ed originale dell’anno. Vera e propria rock opera che ammicca al format del concept album musicale, (musica e testi degli Sparks) che già aveva dato vita nei decenni passati a film cult come Tommy di Ken Russell, e mettendo in scena una farsa lirica sul potere del successo e sulle luci ed ombre dello show business contemporaneo. Adam Driver nella sua performance più completa, ad oggi.
É stata la mano di Dio (dir. Paolo Sorrentino)
L’Amarcord di Paolo Sorrentino è anche il film più lontano dalla sua poetica barocca, strabordante, logorroica, eccessiva. Lungi dallo sfarzo visuale e narrativo de La Grande Bellezza, il film presentato a Venezia 78 e vincitore del Grand Prix Leone d’Argento è un solenne omaggio alla gioventù dello stesso regista, tra commedia e tragedia, tra farsa e sublimazione, tra commozione e risate. Un film sentito, terapeutico, che cambierà (probabilmente) per sempre la poetica dei prossimi anni del regista italiano vincitore del premio Oscar.
Freaks Out (dir. Gabriele Mainetti)
Presentato con poco successo di critica alla 78° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, Freaks Out era stato per troppo tempo posticipato nelle sale, il lungometraggio high-budget che avrebbe dovuto cambiare le carte in tavola dell’industria cinematografica italiana per la sua ambizione. Nonostante non abbia convinto parte della stampa italiana e molta di quella internazionale, Freaks Out è un’operazione di cuore e passione che difficilmente verrà replicata nel cinema nostrano (gli incassi totali non sono stati promettenti). Nel bene o nel male, visione del 2021 imprescindibile.
Il potere del cane (dir. Jane Campion)
Era dal 2009 che la regista neozelandese premio Oscar non tornava dietro la macchina da presa con un lungometraggio (l’apprezzato film biografico in costume Bright Star), e lo fa con un adattamento evocativo e affascinante del romanzo omonimo di Thomas Savage che ribalta completamente la figura del cowboy tipica del western americano per esplorare invece con un toccante inno cinematografico le conseguenze della mascolinità tossica e del desiderio represso. Vincitore del Leone d’Argento alla regia a Venezia 78 e grande cast capitanato da Benedict Cumberbatch, Kirsten Dunst e Kodi Smit-McPhee.
Titane (dir. Julia Ducournau)
Vincitore atipico della Palma d’Oro all’ultimo festival di Cannes, Titane è soltanto il secondo lungometraggio dietro la macchina da presa per la francese Julia Ducournau (Raw) eppure la sua mano autoriale è già limpida, graffiante, praticamente indelebile. Titane, racconto che solo apparentemente può essere classificato come body-horror ma che invece nasconde ambizioni da raccapricciante e crudo racconto ammonitorio che celebra la liquidita dell’identità sessuale in tutte le sue forme, è il film più scioccante che abbiamo visto nel corso del 2021. Già un cult assoluto di cui se ne parlerà negli anni a venire.