Di Simone Fabriziani
Anche questo 2022 si sta per chiudere. Un’annata cinematografica che sul grande (e piccolo) schermo è stata dominata dagli incassi stellari di due dei blockbuster più acclamati degli ultimi dodici mesi: titoli come Top Gun Maverick e Avatar: La via dell’acqua hanno risollevato il botteghino internazionale da un’emorragia di spettatori e di incassi che, dopo il lungo periodo della pandemia da Covid, sta flagellando la distribuzione tradizionale dei film nelle sale.
Un processo distributivo che però viene equilibrato dalla vastissima scelta di titoli in anteprima globale che settimanalmente offrono le svariate piattaforme di streamig, dove spesso e volentieri il cinema più di nicchia, audace, interessante e palpitante trova spazio, visibilità e vita negli spettatori del piccolo, grande schermo di casa. E in questo panorama contradditorio, cosa ha preferito Awards Today nel corso di questo 2022 che sta per spegnersi? Ecco come da tradizione i cinque titoli più amati dell’anno, rigorosamente in ordine alfabetico:
Blonde (dir. Andrew Dominik)
Provocatorio, strabordante, blasfemo, audace. Questo e moltro altro è il coraggioso adattamento cinematografico dal romanzo seminale di Joyce Carol Oates scritto e diretto da Andrew Dominik. Avvolto da una fotografia evocativa che vira prima sui toni abbaglianti del bianco e nero e poi su quelli a colori sgargianti, Blonde è la (fanta) storia della più grande icona di bellezza femminile del Noveento, Marilyn Monroe. Interpretata da una sorprendente Ana De Armas, la diva del cinema americano è qui ritratta come agnello sacrificale di uno show business dominato da soli uomini, dove il male gaze oggettifica la componente femminile, riducendola a mero trastullo. Uno sguardo su Marilyn non vittimista come molte delle letture più superficiali del film hanno sottolineato, bensì geografia del dolore e passione struggente di una Norma Jean immolatasi per i peccati del mondo maschile. Un film divisivo che negli anni a venire diventerà sempre più imprescindibile e rivalutato.
Everything Everywhere All At Once (dir. Daniel Kwan e Daniel Scheinert)
Il titolo di film più folle dell’anno spetta tuttavia al peculiare Everything Everywhere All At Once, la risposta low-budget al multiverso narrativo dei Marvel Studios. Con un budget ridotto ed effetti speciali di rozza efficacia ma tra le mani uno script di rara potenza, i Daniels (erano già autori del piccolo cult movie Swiss Army Man con Paul Dano e Daniel Radcliffe) realizzano il caso cinematografico dell’anno. Distribuito in Usa da A24, nelle sale statunitensi è diventato il maggiore incasso della casa di distribuzione stessa, assurgendo in poco tempo a film di culto. Immigrazione, crisi economica, tasse, famiglia; questi i pilastri tematici di Everything Everywhere All At Once, intessuti tra di loro da una struttura narrativa che scomoda addirittura i viaggi tra universi e dimensioni parallele. Un mèlange cinematografico di raro coraggio che, in termini di accoglienza e di riconoscimenti, sta già cogliendo i suoi frutti più maturi.
Nostalgia (dir. Mario Martone)
Il film italiano più bello dell’anno. Presentato in concorso all’ultimo Festival di Cannes, Nostaglia non è soltanto il prodotto audiovisivo nostrano più importante ed indelebile del 2022, ma è anche la summa artistica delle correnti che da decenni hanno influenzato e dato linfa vitale al cinema dietro la macchina da presa di Mario Martone. Nel suo ultimo film, forse il suo capolavoro più compiuto, il cineasta napoletano incornicia il capoluogo campano come labirintica madeleine di ricordi per il suo protagonista (ancora una volta, un camaleontico Pierfrancesco Favino), che dopo decenni di assenza torna nella città natale per accudire la madre anziana e per chiudere i conti con il suo ingombrante passato. O forse per fare pace con le sue stesse origini, avvinghiato da un inaspettato e sincero senso della nostalgia di tempi che furono e che forse mai più torneranno.
Pinocchio di Guillermo del Toro (dir. Guillermo del Toro)
Con il debutto su Netflix del suo film d’animazione in stop-motion, il premio Oscar Guillermo del Toro super se stesso e dona al suo pubblico di appassionati il suo film più bello dopo Il labirinto del fauno. Partendo dallo scheletro narrativo del romanzo per ragazzi di Carlo Collodi, il regista messicano ribalta aspettative e punti di vista narratologici per realizzare una rivisitazione in chiave dark di una delle fiabe più conosciute ed adattate di sempre. Lontano dai fasti visivi del Pinocchio animato della Disney o dell’aderenza filologica di Matteo Garrone, del Toro firma un potente inno alla vita, alla genitorialità ed un nuovo, programmatico manifesto anti-fascista che risuona straordinariamente valido e contemporaneo anche agli spettatori odierni. Una trasposizione del capolavoro di Collodi unica ed irripetibile, che forse potrebbe mettere a tacere negli anni a venire nuovi e dimenticabili adattamenti della fiaba italiana più conosciuta al mondo.
Triangle of Sadness (dir. Ruben Ostlund)
Vincitore della Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes, Triangle of Sadness è il primo tentativo in lingua inglese per il regista e sceneggiatore svedese Ruben Ostlund, che pure a Cannes aveva già ottenuto il massimo riconoscimento qualche anno prima per The Square. Con questa ambiziosa pellicola, Ostlund firma l’omaggio più sentito al cinema sociale che rese grande Lina Wertmuller, una satira grottesca ed esilarante sui rapporti di potere che si instaurano tra le varie classi sociali nella società occidentale contemporanea. Una scorretta e provocatoria favola socialista che, alla fine, getta letteralmente tutti nella stessa spiaggia della stessa isola sperduta, ricchi e poveri senza distinzione alcuna; con conseguenze antropologiche assolutamente inedite e soprendenti. Cinema ironico e beffardo di cui si sente grande bisogno al giorno d’oggi, invettiva contro l’establishment sfacciata e senza compromessi che ha fatto storcere la bocca a molti, ma che ci ha conquistato senza mezze misure.