Di Redazione
È accaduto anche ai più grandi registi di portare in sala delle pellicole ottenendo scarsi risultati sia di critica che di pubblico, delle cadute da cui solitamente ci si rialza in piedi, anche se nei casi di giovani registi gli insuccessi possono risultare fatali per le loro carriere. Esistono però molteplici casi di svolte registiche e di esordi spesso incompresi dalla critica e ancor di più dal pubblico.
Non basterebbero le dita di una mano per contare le volte in cui un film demolito dalla critica ha invece catturato l’attenzione di chi vi scrive. Anzi, spesse volte una pellicola che divide risulta più interessante. Un altro discorso è quando l’entità di un film viene fraintesa, come se una pellicola promossa e recepita come un horror deluda le aspettative del pubblico.
La maggior parte di questi titoli hanno ricevuto delle pessime recensioni alla loro uscita, e sono stati fischiati dal pubblico in sala, ad oggi però sono stati nettamente rivalutati e alcuni di loro ritenuti grandi esempi di cinema contemporaneo.
Gabriele La Spina
Birth (2004)
dir. Jonathan Glazer
Uno dei casi più calzanti è quello della pellicola di Glazer. Mal interpretata, chissà perché, come un thriller da fiato sospeso, Birth è in realtà un elegantissimo dramma esistenzialista che si concentra soprattutto sul conflitto interiore della protagonista Anna, interpretata da una Nicole Kidman in quella che è probabilmente la più grande performance della sua carriera. La pellicola si apre con la scena di un uomo mentre fa jogging, e a suon di timpani dell’incalzante colonna sonora di Alexandre Desplat, viene colto da un improvviso malore. In un processo metafisico assistiamo a quella che potrebbe ingannevolmente apparire come la sua rinascita, nelle sembianze di un bambino che diversi anni dopo incontra la moglie in procinto di risposarsi e pretendendo il suo amore. Se la più indelebile delle scene resta quella del coraggioso lungo primo piano durante l’opera alla Kidman, è l’estetica fredda di Birth a renderlo gioiello di atmosfera, quasi hitchcockiano, con degli elementi presi in prestito anche dal cinema di Kubrick. Una pellicola che genera una forte tensione nello spettatore, malamente paragonata al Rosemary’s Baby di Polanski, quello di Glazer è in realtà un ritratto unico di una donna imperfetta alle prese con una sfida insormontabile.
Rotten Tomatoes: 38%
Solo Dio perdona (2013)
dir. Nicolas Winding Refn
Dopo il successo mondiale di Drive, quasi inaspettato, per il regista danese è stata una successione di grandi incomprensioni da parte del pubblico. A partire da Solo Dio perdona, che a differenza di quanto si possa pensare, è una pellicola di notevole importanza nella sua filmografia, dove afferma saldamente il suo stile registico. Ryan Gosling torna a vestire anima e corpo dell’eroe macchiato di Refn, che dopo Drive si spinge verso una soglia ancora più oscura e rischiosa. Portandoci dietro le quinte di una faida mafiosa nella Bangkok contemporanea, ogni personaggio della sua epopea ha un preciso significato simbolico ed evocativo, facilmente riconducibile alle classiche figure della mitologia greca. La fratellanza e la vendetta, sono soltanto due spunti delle vicende in realtà manovrate dal personaggio della madre degenerata interpretata da una brillante Kristin Scott Thomas. Il sacrificio diventa infine il tema principale e conclusivo per Refn, quasi una costante nella sua filmografia. Solo Dio perdona potrebbe essere definito quasi come un racconto per immagini, per la prima volta infatti il regista sacrifica lo script per creare un capolavoro coreografico, a volte inquietante e disturbante.
Rotten Tomatoes: 44%
Daniele Ambrosini
To The Wonder (2012)
dir. Terrence Malick
Malick sembra alludere fin dal titolo qual è l’oggetto della sua ricerca, quella meraviglia intrinseca nei rapporti umani, quella bellezza che permea tutte le cose ma che ha bisogno di essere ricercata, di essere coltivata. Malick realizza ancora una volta un film di grande bellezza, un’esperienza visiva unica e complessa, To The Wonder è un tassello importante nella filmografia del regista texano perché segna un punto di rottura definitivo con il linguaggio cinematografico tradizionale che ha consolidato il suo stile improntato per l’appunto alla meraviglia e alle sensazioni piuttosto che alle sovrastrutture di un cinema confortevole e confortante per lo spettatore, e questo ne ha segnato la sorte negativa. Ma To The Wonder non è affatto un brutto film ed ha anche molto da dire a chi è disposto a stare al suo gioco, imposta una riflessione nuova ed inedita nella filmografia di Malick sulla vita di coppia e sull’amore carnale ed anche la riflessione sulla fede, già portata ai massimi livelli in The Tree of Life, ne esce ampliata. Da rivalutare, insieme a tutte le opere recenti di Malick che con la “trilogia post-The Tree of Life” è andato incontro ad eclatanti insuccessi di critica, accusato di essere schiavo del suo stesso stile, quando invece quella di Malick è una delle visioni autoriali più affascinanti di questo secolo (e non solo).
Rotten Tomatoes: 46%
Machete Kills (2013)
dir. Robert Rodriguez
Dopo il successo di Machete, Robert Rodriguez realizza un secondo capitolo ancora più convincente, più folle, più (volutamente) trash, più divertente, più adrenalinico e più esagerato del precedente. Un budget più sostanzioso rispetto al predecessore ha permesso di inserire nel gioco di omaggi e rimandi al cinema di serie B un gusto hollywoodiano moderno creando un connubio eccezionale, inaspettato quanto riuscito, che però non è stato recepito con favore da tutti. Eppure in Machete Kills c’è tutto il cinema dirompente di Rodriguez, un regista dallo stile unico che si diverte con il cinema come nessun altro, come un bambino alle prese con il suo giocattolo preferito. Decisamente un film da rivalutare come opera di puro intrattenimento senza alcuna pretesa se non quella di divertire cavalcando l’onda dell’assurdo e dell’incredibile.
Rotten Tomatoes: 28%
Simone Fabriziani
Fuoco cammina con me (1992)
dir. David Lynch
Dopo lo straordinario successo della serie televisiva “I segreti di Twin Peaks” conclusasi nel 1991 in maniera inaspettata e brutale, il regista americano di culto David Lynch critica aspramente l’emittente televisiva ABC che aveva letteralmente smembrato e snaturato lo spirito “weird” e metafisico della sua creatura rivelando l’identità dell’assassino durante la seconda stagione ed allungando poi il brodo con una minestra riscaldata che sapeva troppo di soap opera. Un anno dopo Lynch presenta in concorso al Festival di Cannes il lungometraggio prequel “Fuoco cammina con me”; fischiatissimo dalla stampa internazionale, negli anni successivi è stato analizzato ed ampiamente riscoperto dai fan e dai cinefili più accaniti; nonostante sia ancora generalmente visto come un Lynch minore, “Fuoco cammina con me” a nostro avviso rappresenta in maniera claudicante ed irresistibilmente imperfetta, tutto il meglio del cinema del regista di culto: non solo sguardo ipnotico e metafisico sugli accadimenti prima dell’assassinio iconico di Laura Palmer, ma anche e soprattutto accecante e potentissimo racconto di una gioventù sbandata della provincia americana. Imperfetto, ma efficace e magistrale.
Rotten Tomatoes: 61%
The Village (2004)
dir. M. Night Shyamalan
Con una percentuale su Rotten Tomatoes del solo 43% del gradimento della critica statunitense, “The Village” merita a nostro avviso una urgente e nuova lettura all’interno della pur arrancante filmografia d M. Night Shyamalan. A tratti racconto dalle tinte squisitamente “american gothic”, a tratti spietata accusa della contemporaneità frenetica e priva di valori fissi,”The Village” è in fondo il lungometraggio che più di tutti nella carriera di Shyamalan, ma forse un gradino sotto al seminale “Il senso senso”, gioca sapientemente con lo spettatore attraverso sentieri e trappole non solo negli oscuri e misteriosi boschi temuti dalla rurale comunità protagonista del film, ma soprattutto sentieri e trappole narrative con l’immancabile “plot twist”, qui addirittura doppio e dunque amplificato agli occhi dello spettatore. Un gioco di specchi e di matriosche cinematografico che, nel bene e nel male, continua a fare scuola.
Rotten Tomatoes: 43%
Alfredo Di Domenico
La morte ti fa bella (1992)
dir. Robert Zemeckis
Magia, tempo, amore e vendetta, le parole chiave per descrivere questo lavoro di Zemeckis dei primi anni ’90. Madeleine Ashton, attrice e showgirl in declino, manda all’aria il matrimonio della sua migliore amica Helen col chirurgo Ernest Menville, che alla fine diventerà suo marito. Helen coverà vendetta per molti anni e alla fine quando il matrimonio di Madeleine entrerà in crisi, tutte e due si rivolgono ad una misteriosa fattucchiera per dei filtri capaci di ringiovanirle. Ma, ovviamente, non va tutto secondo i piani. “Orribile”, “deludente”, “trash”, questi furono gli aggettivi con i quali il film fu etichettato, ma in barba ai critici e alle recensioni negative il film fu un buon successo commerciale e vinse anche un Oscar per gli effetti speciali. Forse nel 1992 l’America non era pronta a vedersi sbattere in faccia la verità, ovvero finché sei giovane e bella il successo è assicurato ma al comparire della prima ruga si è subito pronti per essere riciclati. Niente di nuovo dunque e nel film viene reso in maniera un pochino esasperata, comica e grottesca ma anche con grande ironia ed un pizzico di cattiveria. Meryl Streep e Goldie Hawn in quel momento rappresentavano proprio quello che nel film viene denunciato, due bravissime attrici un passo dopo gli “anta” che cercano di restare a galla, anche machiavellicamente. Dall’altra parte abbiamo un irriconoscibile Bruce Willis ed una sensuale e sempre bravissima Isabella Rossellini. Robert Zemekis ha sempre usato la componente temporale nei propri film come uno strumento di narrazione, in questo caso ci ha giocato palesemente ed il risultato è, alla fine, gradevole e simpatico. Oggi il film gode di tutt’altra fama e sfido chiunque a dire di non averlo mai visto.
Rotten Tomatoes: 50%
Edoardo Intonti
The Canyons (2013)
dir. Paul Schrader
Paul Schrader, uno dei registi più celebri della New Hollywood (sceneggiatore di Taxi Driver e Toro Sactenato, regista di American Gigolò) firma un thiller erotico con protagonisti una redenta Lindsay Lohan e il porno attore James Deen, entrami forse a causa della mala fama della pellicola, che nel migliore dei casi viene definita mal recintata e senza un fine ultimo. Una fotografia vagamente patinata/televisiva contribuisce a creare l’allure delle atmosfere scritte da Bret Easton Ellis, grande romanziere Hollywood-centrico, che realizza un affresco infelice e cinico di un segmento ben preciso della popolazione americana, fatta di arrivisti, arricchiti e angeli sotto mentite spoglie, pronti a tutto per saziare i loro appetiti (siano essi di fama o di qualche perversione sessuale). I personaggi sono aridi, la storia prosegue lentamente e senza riscatto da parte dei protagonisti, che indubbiamente lasciano lo spettatore disgustato e svuotato. Un neon demon senza “neon”, ma che mette perfettamente in mostra i “demon”.
Rotten Tomatoes: 23%
I segreti della mente (2010)
dir. Hideo Nakata
Arrivato da noi in Italia come “I segreti della mente”, questo thriller-drammatico diretto dal giapponese Hideo Nakata (Ring, Ring 2 e Dark Water) non è altro che il fratello di poco maggiore, della serie di successo Black Mirror, in quanto strettamente legato alle nuove tematiche dei pericoli della rete e l’isolamento ad esso dovuto. Accolto tiepidamente sin dal suo esordio, ha vissuto nel tempo un periodo di rivalutazione, forse per la tematica, ormai sempre più attuale (rivista anche dal film polacco Sala Samobójców), forse per il cast, capeggiato da Aaron Johnson, forse nella sua performance migliore insieme a Nocturnal Animals e diverse stelle nascenti, molte delle quali riviste in Game of Thrones qualche anno dopo. Non recepito benissimo anche forse per il background del regista, più legato al J-horror che ai veri thriller, vale effettivamente una visione (soprattutto nel periodo della polemica della Blue Wave Challenge).
Rotten Tomatoes: 9%