SCULT: Mammina cara (1981) di Frank Perry

Seguici anche su:
Pin Share
Di Gabriele La Spina
L’alto indice di popolarità tra il pubblico e il parere per la maggior parte positivo della critica donano una sorta di immortalità alla pellicola, tramandandola di generazione in generazione. Anche se i cult spesso sono anche film rivalutati col tempo, esistono casi di pellicole divenute famose per la loro bruttezza, ma per qualche strana ragione iconiche tanto quanto i capolavori ben più riconosciuti. Gli scult non sono altro che pessime pellicole, che riescono comunque a lasciare un segno nello spettatore e rimanere indelebili nella sua memoria. Un caso di questi è Mammina cara, forse una delle pellicole scult più citate, rinnegata dalla sua stessa attrice protagonista, un capolavoro di trash da cui è impossibile distogliere lo sguardo.

Nella pellicola di Frank Perry, è Faye Dunaway a vestire i panni della patinata diva Joan Crawford. Attraverso una sceneggiatura estremamente frammentaria e a tratti didascalica, seguiamo le vicende dell’inarrivabile diva hollywoodiana dal momento in cui, nel suo periodo di massimo successo artistico ed economico, decide di diventare madre. Nonostante le controversie in un America ben più rigida verso le star hollywoodiane, riesce ad adottare una bambina di nome Christina. Alla sua adozione seguirà quella del piccolo Christopher, anche se nella realtà la Crawford ebbe ben quattro figli. Considerando che si tratti dell’adattamento autobiografico di Christina Crawford, Mammina cara viene incentrato sulle angherie e le sofferenze subite da quest’ultima. Joan Crawford viene dipinta come una donna estremamente folle, isterica, maniaca dell’igiene, collerica e alcolizzata. Faye Dunaway, descritta negli anni ’70 dalla stessa Crawford come l’unica attrice con le carte in regola per diventare una vera diva, rende probabilmente la più grande performance della sua carriera, con un personaggio al limite della schizofrenia, mostra luci e ombre di una donna costantemente divorata dal suo ego, lacerata dalle sue insicurezze in un’età critica per ogni attrice di Hollywood, rigettata dalle major perché ormai troppo vecchia. Tutte le sue ansie e paure si tramutano in vorace rabbia scaraventata su Christina, prima sorprendentemente interpretata dalla piccola Mara Hobel, poi da adulta da Diana Scarwid.


Numerose sono le torture che Christina subisce dalla folle madre: la sfregia tagliandole i capelli come una forsennata quando la sorprende a “farsi bella” davanti al suo specchio, fa sparire i suoi pupazzi preferiti perché origliando la sente imitarla. Ma l’apice di follia, e giustamente il momento più celebre in assoluto della pellicola, è la famigerata scena delle grucce dove, in preda a un attacco di isteria, la Crawford inveisce contro la figlia per aver appeso uno dei suoi piccoli abiti con delle grucce di metallo che potrebbero rovinarne il tessuto, la diva scaraventa urlando ogni abito sulla figlia e la picchia percuotendo la stessa gruccia di ferro. Più di ogni altro momento, questo rappresenta come la figlia della Crawford sia stata una insana valvola di sfogo per l’attrice, che nonostante tutto, qualunque cosa subisse, costringeva sempre e comunque la figlia a chiamarla: “Mommie dearest”.
Mammina cara è un film che superato il quasi esagerato ritratto della Crawford, nasconde una grandissima malinconia, nei rimpianti e soprattutto nella grande solitudine dei suoi personaggi. Forse la sua pessima sceneggiatura, e l’aver confezionato una pellicola tanto patinata da risultare pomposa e kitsch, dalle ambientazioni ai costumi, dai personaggi caricaturali alle stesse situazioni inverosimili, hanno reso questo film uno scult. Ma sono quegli stessi aspetti ad aver contribuito alla sua (im)popolarità, vincitore di quattro Razzie Award tra cui quelli per il peggior film (e peggior film del decennio qualche hanno dopo) e per la peggiore attrice. A metà strada tra una pellicola glamour della Hollywood gold, e un inquietante horror, Mammina cara è e sarà sempre un film irresistibile. 

Pubblicato

in

da