Sofia Coppola e la poesia della solitudine

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Di Gabriele La Spina

Spesso snobbata e sottovalutata da qualcuno a causa del pesante nome che porta sopra le spalle, Sofia Coppola oggi è una regista di fama mondiale che suscita grande interesse con ogni suo progetto, che quasi sempre divide critica e pubblico, ma che senza dubbio dimostra di aver assimilato gli insegnamenti del padre Francis Ford Coppola, storico regista della saga de Il padrino (1972-74-90) e di Apocalypse Now (1979).
Sofia Coppola possiede uno sguardo cinematografico femminista difficilmente riscontrabile in altri registi, con la sua filmografia, ancora non del tutto nutrita, ha delineato uno stile influenzato dalla cultura pop e alimentato da quella che potrebbe essere definita come una poetica della solitudine. Non è difficile pensare quanto di biografico ci sia nella rappresentazione dei personaggi dei suoi film, che quando non sono frutto di una sceneggiatura originale da lei stessa scritta, risultano una scelta molto precisa, affinché il soggetto si adatti allo stile personale fino ad oggi mai tradito dalla regista.
Una vita, quella di Sofia Coppola, vissuta sempre sotto i riflettori fin dalla tenera età, vivendo sotto l’imponente ombra di un padre cineasta, respirando il dietro le quinte della selvaggia realtà hollywoodiana. Fortemente influenzata dalla cultura pop degli anni ’80, si asserve spesso di colonne sonore punk, accoppiate a uno stile fotografico rarefatto e performance stilizzate degli attori, a volte quasi caricaturali. Nelle sue pellicole sembra quasi interrogarsi sull’entità della tristezza, incuriosita dalla solitudine della vita, attraverso i suoi personaggi quasi sempre incorniciati in perfette inquadrature e spiaggiati in infiniti vuoti e silenzi, anche attraverso l’uso della slow-motion. Ma un tratto che contraddistingue la sua filmografia è soprattutto quello dell’emarginazione femminile da lei compresa e raccontata in pellicole come Il giardino delle vergini sucide, Lost in Translation e Marie Antoinette
Dopo aver diviso nettamente la critica al Festival di Cannes 2013, dove ormai è un habitué, raccontando l’ossessione per la fama e l’influenza negativa dei media sulle nuove generazioni in Bling Ring, pellicola da lei scritta e diretta,  ha diretto poi per Netflix lo special natalizio omaggio agli show televisivi americani tipici degli anni ’60, A Very Murray Christmas, con protagonista Bill Murray. Ma nel suo futuro è in arrivo un progetto estremamente allettante. Si tratta del remake di The Beguiled, film di Don Siegel del 1971 conosciuto in Italia con il titolo La notte brava del soldato Jonathan, un southern gothic ambientato in un college femminile della Louisiana, dove un caporale nordista rifugiato diviene vittima delle frustrazioni sessuali e delle isterie di tre donne. 
Nell’attesa del suo ritorno in sala, ripercorriamo i più interessanti slanci cinematografici della sua carriera tentando di delineare l’affermazione di quello stile che ha conquistato il pubblico. 


Lick the Star (1998)

Prima ancora del suo debutto cinematografico avvenuto nel 1999, nei due anni precedenti Sofia Coppola si è cimentata alla regia di due cortometraggi: Bed, Bath and Beyond (1996) e Lick the Star, da lei anche scritto. Con un cast di completi sconosciuti racconta del ritorno a scuola della teenager Kate, dopo aver passato alcuni giorni in ospedale. Specchio delle dinamiche del crudele ambiente scolastico, con le sue gerarchie sociali più e più volte raccontate nella cinematografia americana, stavolta però con uno sguardo nuovo. Si tratta ovviamente di una perfetta palestra per il suo debutto cinematografico dell’anno successivo, il cui soggetto risulta abbastanza affine. Qui potete vedere il cortometraggio completo.

Il giardino delle vergini suicide (1999)

Tratto dal romanzo di Jeffrey Eugenides ‘The Virgin Suicides’ è il film d’esordio di Sofia Coppola nelle sale cinematografiche. Considerato ad oggi uno dei migliori debutti registici di sempre, vantò nel suo cast nomi di prim’ordine del panorama hollywoodiano degli anni ’90, come James Woods e Kathleen Turner, qui in una delle sue migliori performance, e fu il primo ruolo di spicco per una giovane Kirsten Dunst, che solo qualche anno dopo sarebbe divenuta famosa grazie alla trilogia di Spider-Man di Sam Raimi. Ambientato nella periferia di Detroit negli anni ’70, il film racconta della vita di cinque sorelle, oppresse da due genitori severi e fanatici religiosi.  Le vicende di queste vite, sottoposte a una terribile emarginazione e all’impedimento di vivere la propria adolescenza, vengono narrate da un gruppo di giovani ragazzi della loro scuola in cui generano una vera e propria ossessione. Già dal solo trailer, che potete vedere qui, si percepisce la grande introspezione e delicatezza della pellicola.


Lost in Translation – L’amore tradotto (2003)

Dopo aver adattato per il grande schermo il romanzo de Il giardino delle vergini suicide, Sofia Coppola si dedica alla sua prima sceneggiatura originale e dà prova del suo grande talento come sceneggiatrice oltre che come regista. Lost in Translation racconta dell’improbabile incontro un attore del cinema, ormai dimenticato, e di una giovane donna che trascura sé stessa, sullo sfondo di Tokyo. Il film che vede come protagonisti Bill Murray e Scarlett Joahnsson contiene alcune tra le migliori linee narrative scritte da Sofia Coppola per una sua sceneggiatura originale. E’ infatti il suo più grande successo di critica che le fa conquistare il suo primo Oscar per la Miglior Sceneggiatura Originale. Ottiene inoltre le nomination anche per il Miglior Film e la Miglior Regia, che consolidano la sua fama. Qui l’emozionante scena finale del film.

Marie Antoinette (2006)

Dopo la vittoria dell’Oscar viene affidato a Sofia Coppola un progetto estremamente ambizioso: un biopic sulla celebre regina di Francia, Maria Antonietta. Ma come ci si sarebbe aspettato, ne il risulta un ritratto del tutto anticonvenzionale. Il film ripercorre la vita di Marie Antoinette, partendo dal suo fidanzamento e il matrimonio a 15 anni con il re Luigi XVI, fino ad arrivare al disfacimento del suo regno e infine alla caduta di Versailles. Per il ruolo della protagonista chiama alla sua “corte” ancora una volta Kirsten Dunst. Una pellicola che conquista soprattutto per la sua magnifica estetica, non a caso vince un Oscar per i costumi, ma che non convince a pieno la critica mondiale al suo debutto durane il Festival di Cannes del 2006. Ben dieci anni dopo la sua uscita Marie Antoinette è un film di culto, a Sofia Coppola va il merito di aver catturato l’essenza di un personaggio storico controverso quanto iconico, ma per certi versi attuale. Si rimane frastornati e affascinati da questo viaggio nella corte di Versailles, e ancora una volta ci si perde nella completa solitudine dei personaggi. Lampante risulta il magnifico contrasto del tutto anacronistico tra l’ambientazione e la scelta della colonna sonora in diverse parti del film.


Somewhere (2010)

Concludiamo con quella che è probabilmente la pellicola più incompresa, quanto la più poetica, della filmografia di Sofia Coppola. Tramite la storia di un attore hollywoodiano consumato e la sua figlia di 11 anni, firma un testamento cinematografico, e scrive una sceneggiatura che scruta nella solitudine che si cela nella fama, raccontando in qualche modo del suo rapporto con il famoso padre Francis Ford Coppola. Oltre l’indimenticabile scena del té sul fondo della piscina, con in sottofondo il dolcissimo brano “I’ll Try Anything Once” degli Strokes, Somewhere offre diversi momenti registici indimenticabili. Tra alberghi, conferenze stampa e premiere, il protagonista interpretato da Stephen Dorff, soffre del vuoto di una vita effimera e sopperisce ai silenzi spesso assordanti di cui è colma, l’unico lume è l’amore per la figlia, un’eterea Elle Fanning.