Di Simone Fabriziani
Straordinario lavoro di performance capture da far strabuzzare gli occhi, una solida storia di lotta per la sopravvivenza tra scimmie ed uomini fino all’ultimo sangue, fino all’ultimo inganno per un seguito che non soltanto esaudisce ciò che promette, ma che risulta un blockbuster perfetto, un mix esplosivo di azione, tensione, solida sceneggiatura e una mano maestra alla regia per quella che risulta essere la più vivida rappresentazione degli istinti umani di fronte alla paura e alla minaccia dell’estinzione nel panorama cinematografico del 2014.
8. Il Giovane Favoloso (di Mario Martone)
Per noi fortunati che abbiamo frequentato l’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia il film biografico scritto e diretto da Mario Martone e dedicato all’ingombrante figura poetica e filosofica di Giacomo Leopardi è stata una sorpresa inaspettata.
Non solo si è deciso di spostare l’attenzione della narrazione su due distinti archi temporali della vita del poeta recanatese raccontando l’evoluzione pubblica e privata dell’artista, ma anche grazie al vivido e mai macchiettistico ritratto che ne fa un’ispiratissimo Elio Germano, il grande letterato marchigiano prende vita come mai i polverosi libri di testo scolastici hanno fatto a tutta una generazione di studenti italiani che sempre hanno trovato difficoltà a barcamenarsi nell’infinito leopardiano. Una summa di equilibrio narrativo tra agiografia e ispirata introspezione pesicologica sempre più rara nel decadente panorama cinematografico italiano.
7. Storie Pazzesche (di Damiàn Szifròn)
La commedia più divertente e dissacrante dell’anno arriva dall’Argentina.
Nel solco della migliore tradizione della commedia all’italiana ad episodi in cui negli Anni 60 Risi e Monicelli con dissacrante cattiveria raccontavano e i vizi e le virtù della società del tempo, cosi fa il giovane cineasta argentino Szifròn: dipanando il tempo narrativo in 6 storie differenti, il regista racconta le piccole nevrosi e i grandi cinismi del nostro tempo con estremo senso del grottesco e della comicità, quella vera.
Una diabolica commedia come non se ne vedevano da anni e che ora concorre per l’Argentina all’Oscar per il Film Straniero.
6. Due Giorni, Una Notte (di Jean Pierre e Luc Dardenne)
La crisi economica che investe l’Europa, la paura di perdere il posto di lavoro e la lotta per la sopravvivenza che si instaura tra gli individui pur di ottenere un bonus in denaro pur di mandare avanti una famiglia, anche se dovesse comportare l’espulsione di un collega di lavoro in difficoltà economica.
Questo e molto altro è l’onesto ritratto che i fratelli Dardenne dipingono di una società, più precisamente quella francofona, investita dalla crisi economica e raccontata attraverso l’estenuante viaggio di due giorni e una notte di una di una toccante Marion Cotillard per tentare di convincere i proprio colleghi a rinunciare al bonus e a tenersi il proprio posto di lavoro.
Il colpo allo stomaco cinematografico dell’anno.
5. Interstellar (di Christopher Nolan)
L’astuzia del regista più chiacchierato e mediatico degli ultimi anni sta proprio qui: raccontare con maestria narrativa e fotografica la storia più antica del mondo, il rapporto padre-figlia, mascherandola da precisa disamina cinematografica sulle teorie spazio-temporali più recenti legate al viaggio interstellare dal chiaro stampo da ambizioso blockbuster.
Un binomio che è risultato la perfetta colonna che sorregge un commosso e spettacolare viaggio fino ai confini dell conoscenza umana ma con il cuore e la mente ben piantati sui sentimenti umani. Irripetibile esperienza cinematografica che non lascia indifferente lo spettatore.
4. Boyhood (di Richard Linklater)
Prendete un regista e sceneggiatore; prendete un piccolo cast di cui metà non professionisti e immaginate di poter realizzare una pellicola a basso costo che si dipani per 12 anni di girato sfruttando l’aspetto di cinema veritè con la crescita fisica dei protagonisti. Questo è lo straordinario esperimento cinematografico del radicale ed originale Richard Linklater.
La scommessa cinematografica dell’anno ha dello storico già in partenza: riuscire a dare una coerenza narrativa ed emotiva ad una semplice storia di crescita partendo dai 5 anni del protagonista (il giovane e promettente sconosciuto Ellar Coltrane) fino ad arrivare al termine psicologico e fisico dell’adolescenza, i 18 anni. Coadiuvato da un cast di supporto che vede figurare anche due ispirati Ethan Hawke e Patrica Arquette, “Boyhood” è la scommessa cinematografica più ambiziosa e soddisfacente dell’anno, e sfidiamo ogni lettore ad ammettere che non hanno potuto che non identificarsi con la commovente crescita del piccolo Mason e della sua famiglia.
3. L’Amore Bugiardo-Gone Girl (di David Fincher)
Pensate al film più cattivo, più corrosivo e più dissacrante sul matrimonio che possa venirvi in mente. Scommettiamo che “L’Amore Bugiardo” del maestro del thriller Fincher supererà ogni vostro titolo in mente?
Tratto dall’omonimo romanzo di Gillian Flynn (qui anche in veste di ottima sceneggiatrice), l’ultimo inaspettato film del maestro della tensione contemporanea si tinge di colori hitchockiani ed indaga con occhio velenoso, talvolta volontariamente comico e farsesco, la scomparsa improvvisa di Amy Dunne e le indagini che vedono sospetto della scomparsa il misterioso marito Nick; le conseguenze mediatiche porteranno a scioccanti rivelazioni e ad una silenziosa guerra tra moglie e marito memorabili.
Il più velenoso spaccato della vita di coppia che vedremo da qui a molti anni.
2. Grand Budapest Hotel (di Wes Anderson)
L’ultimo film scritto e diretto dal geniale Wes Anderson è anche il suo capolavoro più completo.
Un inimitabile puzzle narrativo che sfrutta con la tipica genialità e sregolatezza dell’autore statunitense il racconto meta-cinematografico e soprattutto meta-narrativo (chi ha visto il film sa a quale scatola cinese narrativa ci riferiamo) per costruirgli attorno un variopinto mosaico corale di stravaganti ed indimenticabili personaggi che vertono i loro accadimenti attorno al fantomatico ed opulento Grand Budapest Hotel, e a svettare su tutti il concierge Gustave H. (un divertito ed ispirato Ralph Fiennes in una delle sue prove più memorabili), vera anima e carburante dei grotteschi avvenimenti della pellicola legati ad narrazione ad orologeria imperniata sulle vicissitudini di un ritratto lasciato in testamento da una morente e ricca vedova e che molti vogliono accaparrarsi.
Una splendente lettera d’amore a ciò che può il mezzo cinematografico, alla possibilità infinita di narrazione, al rovesciamento dei ruoli, all’opulenza scenografica e fotografica e alla perizia di un radicale genio contemporaneo della Settima Arte.
1. Birdman o l’Imprevedibile Virtù dell’Ignoranza (di Alejandro Gonzalez Inarritu)
La prima posizione di questa nostra personalissima classifica annuale spetta ad un capolavoro del cinema contemporaneo che, neanche a farlo apposta, appartiene anche quest’anno ad un cineasta di origine messicana (l’anno scorso il “Gravity” di Cuaròn si guadagnò il primo posto della nostra classifica legata al 2013).
Dopo i notevoli “Amores Perros”, “21 Grammi”, “Babel” e “Biutiful” l’abile autore messicano Inarritu torna negli Stati Uniti con un poderoso ritratto del cinismo del mondo dello spettacolo contemporaneo raccontato attraverso gli occhi costanti della macchina da presa che non ci lascia per quasi le due ore di durata della pellicola lasciando poco spazio allo stacco di montaggio (il trucco c’è ma non si vede in realtà) e soprattutto attraverso la voce e le inquietudini dell’attore in decadenza Riggan Thomson (a cui da il volto un inedito e trasformista Michael Keaton, in odore di Oscar) combattuto tra i fantasmi del passato e la voglia di risalire la china allestendo uno spettacolo teatrale a Broadway.
Tutto funziona alla perfezione nell’ultimo Inarritu: la massima espressione cinematografica attraverso l’uso esasperato della macchina da presa senza evidenti stacchi aiuta lo spettatore nell’immedesimazione massima nelle turbe dei vari personaggi che costellano la pellicola, tutti interpretati da un cast di tutto rispetto ed in stato di grazia (su tutti Norton, Stone e Galifianakis) per quello che per noi di Awards Today rimane il più completo e soddisfacente film dell’anno, un vero e proprio inno cinematografico all’arte della cinematografia come mezzo di narrazione e di immedesimazione totalizzante nelle contraddizioni di una realtà sempre più alienante di cui la Settima Arte si fa carico oneroso di grande narratrice dallo sguardo rivoluzionario, mai banale.