Unbreakable Kimmy Schmidt – La recensione della prima parte della quarta stagione

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Di Edoardo Intonti

Ieri è stata rilasciata la prima metà della quarta e ultima stagione di Unbreakable Kimmy Schmidt, la serie diventata presto di culto di Tina Fey, campione di nomination agli Emmy dal 2015 ad oggi. Dopo averla vista nel ruolo di “mole-Woman” baby sitter, autista Uber, commessa al negozio di articoli di Natale e studentessa alla Columbia University, in questa stagione Kimmy si vede finalmente catapultata nel mondo del lavoro vero e proprio, a dover affrontare i problemi degli adulti e ad imporsi di non “cercare di salvare tutti”.

Nonostante abbia riconosciuto gli atteggiamenti del reverendo/John Hamm in molteplici individui che la circondano (uomini per lo più) la ragazza dell’Indiana sceglie di non arrendersi, continuando la sua lotta per migliorare il mondo.

Inevitabilmente il clima politico/sociale che ha colpito il mondo è gli USA in primis, ha influenzato la scrittura di questi primi sei episodi, che citano senza esclusioni di colpi Trump, Weinstein e movimenti “Me Too”, apportando un’impronta forse meno fresca e più “paternale” al progetto, che risulta inevitabilmente meno brillante rispetto agli anni scorsi. Nell’universo narrativo di Kimmy sono stati eliminate di fatto tutte le influenze maschili positive (Artie, Dong, Mickey, Perry) facendo concepire a Kimmy la strampalata teoria di una malvagità intrinseca del genere maschile: teoria sicuramente maturata grazie alla sua formazione filosofica, ma che come già detto rende un po’ più cupa la natura di questa comedy.
Si tratta in fondo di una preparazione verso la fine della serie: quasi tutti i personaggi sembrano essere diretti verso un lieto fine (a eccezione di Kimmy, che rimanda il confronto frontale con il reverendo): Jaqueline ha un lavoro e non cerca più uno sugar daddy, Titus sembra sempre più vicino al suo sogno di celebrità, Lilian avrà per sempre un’amica strampalata di cui prendersi cura.
Non mancano le citazioni di fenomeni di massa e prodotti culturali ormai di culto (da American Vandal a Get Out) ma si avverte la differenza di freschezza che caratterizzava il progetto precedente della Fey (il grandioso 30 Rock), arrivato all’ultima stagione senza trascinarsi, cosa che purtroppo Unbreakable  Kimmy Schmidt  rischierebbe di fare. Non ci resta che attendere tristemente gli ultimi sette episodi, sperando in una vagonata di guest star e di momenti di rara comicità cui ci avevano abituato Titus e Kimmy gli anni scorsi.

VOTO: 7/10


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