Di Gabriele La Spina, Simone Fabriziani, Alfredo Di Domenico
Nel corso dei decenni abbiamo avuto dimostrazione di quanto i tempi influenzino fortemente le caratteristiche decisive che influenzano l’approvazione degli Academy riguardo la premiazione di un attore con l’ambito premio Oscar. Ma se c’è stato un tempo in cui veniva premiato il trasformismo o un altro in cui si prediligeva lo spogliarsi della veste glamour da parte dell’attore, è stata e rimane sempre costante la prova che viene prima di tutto premiata l’irruenza del grande talento.
Che si tratti di moderni Humbert Humbert, di scrittrici suicide, madri violente o madri amorevoli, dissolute cantanti francesi, eccentrici colonnelli nazisti o infermiere di istituti psichiatrici, certi ruoli rimangono inspiegabilmente nel cuore del grande pubblico e la vittoria dell’Oscar non fa altro che accentuare l’iconicità di quella performance, come una corona d’alloro o un preziosissimo post-it dorato, promemoria che quella determinata performance ha rappresentato il meglio tra le numerose produzioni cinematografiche americane e non solo, di quell’anno.
Scavando nella nostra memoria, e sottoponendoci a un’attenta riflessione, abbiamo scelto le performance vincitrici della statuetta che più abbiamo amato nella lunga storia degli Oscar. E abbiamo invitato anche voi affezionati lettori a dire la vostra.
I preferiti di Gabriele
Kevin Spacey – American Beauty (1999)
E’ lui il moderno Humbert Humbert citato nell’introduzione a questo articolo, impossibile infatti non trovare un collegamento tangibile tra la bellissima pellicola di Sam Mendes e il capolavoro di Vladimir Nabokov “Lolita”. Lester è un uomo di mezza età frustrato, in piena crisi esistenziale, la cui vita cambia quando perde la testa per la migliore amica della giovane figlia, che idealizza come una divina ancora di salvezza, una valvola di sfogo e di evasione dalla sua soffocante realtà di americano medio. Una sorta di bellezza salvatrice, tra le tante chiavi di lettura della riuscita pellicola di Mendes vincitrice di ben 5 premi Oscar su 8 nomination, tra cui quella per il migliore attore protagonista a Kevin Spacey. Il suo Lester è ancora oggi uno dei personaggi del Cinema più difficili da dimenticare, Spacey ne trae un ritratto ironico, centrato, non forza mai la mano e scava nelle profondità del suo personaggio traendone gli aspetti più oscuri, alternando a ciò momenti toccanti di considerevole introspezione. Memorabili gli scambi con un altrettanto brillante Annette Bening, insopportabile moglie, anche lei meritevole di un riconoscimento. Fu il secondo Oscar della carriera Spacey dopo la vittoria come miglior attore non protagonista nel 1996 per
I soliti sospetti.
Charlize Theron – Monster (2003)
In un periodo in cui era molto in voga imbruttirsi per un ruolo, Charlize Theron dimostra agli Academy di non essere più la splendida modella dello spot Martini. Reduce da diversi ruoli di supporto nei panni della bella moglie, nel 2003 approda nelle sale americane interpretando un ruolo di enorme difficoltà e al tempo stesso estremamente impopolare; quello della prostituta trasformatasi in seria killer, Aileen Wuornos. Il personaggio realmente esistito rappresenta non solo uno dei casi più famosi d’America (si tratta in fatti di una delle prime donne condannate alla pena di morte), ma anche uno dei più angoscianti e sconvolgenti. Diretta da un esordiente Patty Jenkins, la Theron dà vita al personaggio della Wuornos in modo del tutto stupefacente, supportata da un ottimo trucco, sottopone il suo stesso corpo a una trasformazione, ma quelle che ne emerge prima di tutto è un’immersione psicologica senza eguali. Non c’è trucco che tenga quando l’attore, come nel suo caso, riesce a convincerti con la straordinaria profondità del suo sguardo, accostando a ciò una ricerca scrupolosa della mimica facciale e della gestualità. E’ senza dubbio una delle più grandi trasformazioni viste sul grande schermo, e la performance più riuscita della carriera di Charlize Theron, meritevole di aver mostrato l’umanità di un mostro, una donna per certi versi incompresa, vittima di una società e di un ambiente ostile, per altri incapace di ritrovare in sé stessa il suo lato umano.
Matthew McConaughey/Jared Leto – Dallas Buyers Club (2013)
Quello di McConaughey è uno dei casi più eclatanti di “redenzione” da parte di un attore che ha adagiato la sua carriera sugli allori, concedendosi per anni commedie di bassa lega, trasformandosi in uno dei tanti operai dell’ambiente cinematografico, non dando mai sfogo al suo fuoco creativo, ammesso che ne abbia uno. In pochi anni ha dimostrato di sì. Dopo una strabiliante quanto oscura performance in
Killer Joe di William Friedkin, McConaughey si dedica anno dopo anno al Cinema Indie, ma sarà l’incontro con il regista Jean-Marc Vallée (che gli riserva il ruolo di protagonista in quella che probabilmente è la sua miglior pellicola) il pass per i cuori degli Academy e per quelli del pubblico di tutto il mondo. Matthew McConaughey veste i panni di Ron Woodroof, un elettricista e truffatore, a cui viene diagnosticato l’Hiv, e che nel 1985 inventa un sistema illecito per fornire le medicine a tutti i malati di AIDS, in particolare quelli della comunità gay. Quella di McConaughey è una performance intensa con pochi eguali. Un ruolo che oltre a richiedere un dimagrimento considerevole, ha richiesto una grande introspezione per l’attore, interpretando un uomo dissoluto incurante di sé stesso che si ritrova a dover lottare per la propria vita sorreggendo su di sé la responsabilità di altri malati come lui. Incredibile è la chimica con l’attore Jared Leto, nei panni di un transgender, anche lui malato di AIDS, eccentrico e ironico, protagonista dei momenti più toccanti della pellicola. Una strana coppia che infrange le barriere del pregiudizio, e rappresenta senza dubbio una delle coppie più efficaci viste sul grande schermo negli ultimi anni. Entrambi premiati con due meritatissimi Oscar.
Nicole Kidman – The Hours (2002)
“And the oscar goes to… by a nose” con queste parole Denzel Washington nel 2003 consegnava la statuetta della migliore attrice protagonista a Nicole Kidman, sul palco del Kodak Theatre. Naso o non naso, al suo tempo fu quasi una polemica quella legata alla performance di Nicole Kidman nei panni della leggendaria scrittrice morta suicida Virginia Woolf. Ma anche se per somigliare alla scrittrice ha dovuto utilizzare un naso posticcio la sua è una performance che trascende la maschera. Frutto di un mimetismo quasi estremo, non solo l’attrice imparò a scrivere con la mano destra per essere più simile alla scrittrice inglese, ma la sua ossessione fu tale che non toglieva mai il naso posticcio nemmeno fuori dal set, non uscendo mai dal personaggio in pieno metodo Stanislavskij. Tratto dal romanzo omonimo di Michael Cunnigam, The Hours è una pellicola estremamente elaborata adattata per il grande schermo da David Hare, che intreccia le vicende di tre donne: la scrittrice Virginia Woolf che scrive il suo romanzo simbolo La signora Dalloway, Laura Brown una donna che 30 anni dopo sarà estremamente influenzata dalla lettura del romanzo, e Clarissa Vaughan la cui vita nel presente è simile a quella della protagonista del romanzo della Woolf. La Kidman viene affiancata da due straordinarie attrici, Meryl Streep e Julianne Moore, con cui dividerà l’Orso d’argento al Festival di Berlino. Apice di quello che è stato il periodo d’oro della carriera di Nicole Kidman, la sua performance in The Hours è una perfetta immedesimazione psicologica più che fisica, carica di una forte intensità emotiva. E lo spettatore resta completamente catturato da uno degli sguardi più affascinanti del Cinema contemporaneo.
I preferiti di Simone
Christoph Waltz – Bastardi senza gloria (2009)
Da attore austriaco di film e telefilm ad uno dei villain cinematografici più affascinanti e complessi degli ultimi anni il passo è enorme, se non impossibile; ma non per Quentin Tarantino che scova Waltz e lo ingaggia per il ruolo del colonnello nazista Hans Landa. Tra monologhi cult e una performance multilingue (Waltz si cimenta in quattro idiomi nel film!) l’Oscar al Miglior Attore Non Protagonista per un perfetto sconosciuto in terra statunitense è servito.
Marion Cotillard – La Vie en Rose (2007)
Molte furono a suo tempo le polemiche legate alla scelta di non utilizzare la voce della Cotillard per impersonare Edith Piaf a scapito di un lipsynch ben congegnato, eppure la performance della giovane attrice francese non ancora del tutto sbocciata fa il giro del mondo e vince l’Oscar entrando nella Storia: è la prima performance in lingua francese ad ottenere la statuetta. Oltre il trucco facciale e le labbra che si muovo sulla voce modulata e penetrante della Piaf, c’è tuttavia uno dei ritratti attoriali più vissuti e veri degli ultimi anni che va oltre il mero scopiazzamento nei modi e nelle gestualità; è solo grazie al miracoloso lavoro di equilibrio che trova Marion Cotillard nel donare vita alla voce più famosa di Francia che il suo può essere considerato uno degli Oscar femminili più universalmente acclamati.
Peter Finch – Quinto Potere (1976)
Primo Oscar attoriale assegnato postumo per il portentoso Peter Finch il profeta incazzato della televisione e del cinema di protesta sociale degli Anni ’70. C’è una spiegazione sufficiente del perché sia tra le nostre performance favorite se non citando una delle vessazioni più iconiche dell’anchorman Howard Beale? “I’m mad as hell and I can’t take this anymore!”. La sua performance galvanizza le coscienze dell’America di quegli anni ed esorcizza i demoni dello strapotere dei mass media della comunicazione televisiva. Una vera e propria furia recitativa che gli vale una delle più indelebili statuette degli Oscar maschili di sempre.
Louise Fletcher – Qualcuno Volò sul Nido del Cuculo (1975)
Se c’è un modo di contenere l’istrionismo e la versatilità vulcanica di Jack Nicholson è equilibrandola.
L’arduo compito fu affidato nel 1975 all’attrice televisiva e di teatro statunitense Louise Fletcher che nel campione d’incassi (e di statuette) di Milos Forman veste i panni della sadica infermiera Ratched. Un lavoro attoriale fatto di sguardi, di ordini perentori, di agghiaccianti occhiate e di ingombrante presenza perentoria nel manicomio, vero e proprio palcoscenico dell’intera vicenda narrata nella pellicola. Come tenere la scena sotto controllo ammansendo il vulcanico Nicholson? Solo una performance da manuale ne è capace e regala alla Fletcher anche l’unica nomination (ed unica statuetta) della sua carriera non proprio brillante negli anni seguenti.
I preferiti di Alfredo
Vivien Leigh – Un tram chiamato Desiderio (1951)
Dopo lo storico ruolo di Rossella O’Hara in
Via Col Vento che le ha dato la notorietà e l’Oscar, Vivien Leigh compare in una serie di film che non mettono in luce il suo incredibile talento. Fino al 1951, quando viene scelta da Elia Kazan per interpretare Blanche Du Bois, instabile e mentalmente fragile donna di mezza età dall’oscuro passato. Vivien Leigh era vista come un corpo estraneo da quasi tutti gli altri membri del cast, in quanto non aveva recitato nella versione di Broadway della pièce di Tennessee Williams, e così Kazan le disse di utilizzare il proprio senso di solitudine e di emarginazione riflettendoli nel personaggio di Blanche. Lei lo fece e il risultato è stato assolutamente incredibile. La fragilità del suo personaggio è palpabile cosi come la follia che ne deriverà. In ogni scena Vivien è magnifica ed emozionate e otterrà premi presso molti festival prestigiosi, compresa la Coppa Volpi al Festival di Venezia. Qualche anno dopo alla Leigh venne in seguito diagnosticata una forma di disturbo bipolare e si racconta che verso il finire dei suoi anni (morì a soli 53 anni), credesse, talvolta, di essere veramente Blanche.
Marlon Brando – Il padrino (1972)
Uno dei ruoli più iconici della storia del cinema, una delle trasformazioni più riuscite per un ruolo incredibile. Nel 1972 Francis Ford Coppola si batté fortemente per aver Marlon Brando nel suo film nel ruolo di Vito Corleone e Brando, che viveva un periodo di declino professionale, studiò molto il personaggio creandolo non solo dal punto di vista psicologico ma anche fisico. Brando gigioneggia nella parte, sovrasta ogni altro attore in sua presenza con la sua performance creando uno dei personaggi più riusciti della storia ed anche uno dei più imitati. Per questa interpretazione, Brando vinse il suo secondo Oscar ma rifiutò di presentarsi alla cerimonia in segno di protesta per il modo in cui venivano trattati gli indiani nativi d’America da parte degli Stati Uniti e di Hollywood. Al suo posto inviò alla premiazione una nativa americana di nome Sacheen Littlefeather, che lesse il suo discorso di protesta.
Meryl Streep – La scelta di Sophie (1982)
Nel 1982 Meryl Streep era già un‘attrice affermata, aveva vinto un Oscar e ricevuto 3 candidature. Quell’anno con il film di Pakula, Meryl stregò il mondo imponendosi come una delle più dotate, brave, poliedriche, e minuziose attrici della sua generazione. Il ruolo di Meryl è un ruolo difficile non solo tecnicamente, visto che recita anche in polacco, ma anche dal punto di vista psicologico. La scena della scelta è straziante ogni volta che la si guarda: le urla disperate della bambina in contrapposizione col grido muto di Meryl. Un’interpretazione di rara bellezza e perfezione che solo un’artista come Meryl Streep poteva offrire. Annoverata tra le migliori performance della storia del cinema e molto spesso come la migliore performance da Oscar in assoluto, costituisce uno dei picchi recitativi della della carriera di Meryl, che diventerà negli anni la più grande attrice vivente.
Katharine Hepburn – Il leone d’inverno (1968)
Film storico di rara intensità e bellezza, non solo per l’intrigante trama, ma soprattutto per l’incredibile coppia O’ Toole/Hepburn. Qui Katharine ha 61 anni ma una verve e un’energia da ventenne, in questo film raggiunge la perfezione: altera, fredda, calcolatrice, sensuale, regale, subdola, e agguerrita un personaggio dalle mille sfaccettature che Katharine gestisce meravigliosamente. Un piacere per gli occhi e per le orecchie, anche nella versione italiana splendidamente doppiata da Anna Miserocchi che ne restituisce vigore ed intensità. Molte altre attrici hanno interpretato regine nella storia del cinema, alcune hanno anche vinto un Oscar ma nessuna è come Katharine Hepburn. Grazie a questo ruolo la Hepburn vincerà il 3° Oscar della sua carriera. Questo stesso ruolo è stato poi ripreso splendidamente, nell’omonima serie Tv del 2005, da Glenn Close.
Scelti dai lettori
Jessica Lange – Tootsie (1982)
Il nostro lettore Enrico Ballarin ci racconta della sua performance preferita premiata con l’Oscar, legata a una vera e propria leggenda di Hollywood, Jessica Lange: In una commedia elegante e raffinata il suo personaggio è semplice e ben studiato, tanto da essere il ritratto di una persona ordinaria a vincere, a me questo piace, che non servono scene madri eclatanti di pianti isterici o simili ma basta un monologo sulla carta da parati così delicata da rimanere impressa nella mente per tanto tempo.
Heath Ledger – Il cavaliere oscuro (2008)
Oberdan Piccolo come tanti altri cinefili è stato colpito dall’Oscar postumo a Heath Ledger nel 2009, ad oggi uno dei momenti più toccanti tra gli show degli Academy: Ha saputo dare spessore ad un personaggio che rasenta la follia in maniera adeguata e senza scadere in una sorta di parodia del personaggio malato di mente…ha attribuito al suo ruolo eleganza e fascino misto ad orrore…dando del Joker una versione più thriller al di la della rappresentazione fumettistica che lo rende “reale” ben oltre le aspettative…un’interpretazione che verrà ricordata sempre.
Mo’Nique – Precious (2009)
Quella di Mo’Nique è forse una delle premiazioni di supporto più azzeccate degli ultimi anni, nella pellicola più acclamata di Lee Danieles, la pensa così il nostro lettore, Dottor Destino: Trovo il personaggio della madre di Precious uno dei ritratti più inquietanti e ben delineati degli ultimi 10 anni. Abbastanza screentime per considerare valida la performance, incredibile il talento di un’attrice non nota, che purtroppo non riesce a rimontare.
Volete raccontarci anche voi dei vostri premi Oscar preferiti? Potete ancora farlo rispondendo ai commenti!