La donna elettrica – La recensione del film islandese candidato agli EFA

Seguici anche su:
Pin Share
Di Giuseppe Fadda

Storie di cavalli e di uomini, l’esordio alla regia di Benedikt Erlingsson, fu un enorme successo di critica, ricevendo il 100% di recensioni positive su Rotten Tomatoes, e fu scelto per rappresentare l’Islanda ai Premi Oscar del 2014 nella categoria di miglior film straniero. La donna elettrica, la seconda pellicola del regista, è stato presentato al Festival di Cannes riscuotendo un buon responso da parte della critica e, come il primo, è stato scelto per rappresentare il paese agli Oscar.

I due film hanno molti aspetti in comune, in primis l’ambientazione islandese e la delicatezza e l’attenzione con cui il regista ritrae i paesaggi della sua terra natale. Tuttavia, se Storie di cavalli e di uomini era un racconto intimo e personale sulle complicate relazioni tra gli abitanti di un villaggio, La donna elettrica si pone un obiettivo più ambizioso e pone al suo centro tematiche estremamente attuali e rilevanti: l’urbanizzazione delle campagne, l’inquinamento, il cambiamento climatico e le conseguenze che questi fenomeni hanno sul paesaggio, sulla vita quotidiana e, soprattutto, sul futuro dell’umanità. La donna elettrica rientra in un tipo di cinema fortemente sociale e ne rappresenta uno degli esempi più efficaci e convincenti: perché il messaggio non è mai posto in primo piano rispetto alla narrazione, ma è veicolato attraverso essa in maniera spontanea e organica. Trama e intento sociale si sostengono e alimentano a vicenda e il risultato è un film tanto intelligente quanto divertente, originale e brillante.

La protagonista del film è Halla (Halldóra Geirharðsdóttir), la direttrice di un coro che conduce una vita segreta. Essa è costituita da spericolate e ingegnose azioni di sabotaggio contro le multinazionali che stanno devastando i paesaggi e gli ecosistemi dell’Islanda. Mantenendo l’anonimato sotto lo pseudonimo di “donna elettrica”, Halla diventa per alcuni un simbolo di coraggio e resistenza mentre per altri una pericolosa terrorista da eliminare. La sua vita è ulteriormente sconvolta quando una sua vecchia richiesta di adozione va a buon fine: tempo una settimana e Halla diventerà la madre di una piccola orfana ucraina. La donna si troverà dunque a dover conciliare il suo attivismo con la sua inaspettata maternità: come può essere un modello educativo per sua figlia se infrange la legge in ripetute occasioni? Ma, al tempo stesso, come potrebbe essere un modello educativo per sua figlia se abbandonasse la lotta per un mondo migliore? 

Probabilmente la risposta a queste domande non esiste e La donna elettrica decide saggiamente di non darne. Il film non esita a ritrarre le gesta di Halla come avventate, pericolose e discutibili e non cerca mai di dipingerla come un’eroina senza macchia. Ma anche senza allinearsi necessariamente con le sue azioni, è chiaro che Erlingsson condivida i suoi ideali e simpatizzi per lei. E questo per un semplice fatto: perché la crociata di Halla non è guidata né dalla ricerca di fama né di profitto, ma esclusivamente da un genuino amore per la sua terra e per il mondo intero. Da un punto di vista strettamente giuridico, Halla è una criminale e i suoi persecutori sono dalla parte del giusto. Ma da un punto di vista etico, Halla è una donna che combatte per la salvezza del pianeta e per il futuro di coloro che verranno mentre i suoi persecutori sono persone spregiudicate che sono ben disposte a sacrificare queste cose pur di ricavare un profitto. Erlingsson provocatoriamente conduce lo spettatore a interrogarsi sul labile confine tra legalità e moralità. Anche in questo caso, non offre risposte chiare e perentorie, e non deve. Un film che dà già una risposta termina nel momento in cui finisce la sua storia, mentre un film che lascia degli interrogativi stimola una discussione e una riflessione continuativa, rimanendo così impresso nella mente dello spettatore. Questo non significa che il film sia ambivalente: è evidente che la sua simpatia e il suo affetto vadano ad Halla e alla sua battaglia, ma Erlingsson riesce a mantenere quel poco di ambiguità che basta a scatenare un dibattito. Cosa che, in fondo, è lo scopo del film. 



Un elemento chiave per il successo del film è la brillante interpretazione di Halldóra Geirharðsdóttir, acclamata attrice teatrale islandese nonché amica d’infanzia del regista. L’attrice regala una performance perfettamente coerente con il timbro del film, che associa ad una narrazione ironica, frizzante e fondata sulla comicità un messaggio socio-politico urgente e importante: la Geirharðsdóttir, infatti, dimostra di avere un eccezionale tempismo comico, sia verbale che fisico, ed è esilarante nel ritrarre la protagonista in tutte le sue piccole stranezze ed eccentricità. Ma è anche un ritratto pieno di pathos che rende Halla il cuore pulsante di tutto il film e i suoi momenti di quieta introspezione, in cui gli occhi dell’attrice ci rivelano il suo conflitto interiore, sono devastanti. La Geirharðsdóttir interpreta un altro personaggio nel film, ovvero quello di Asa, la serafica e saggia sorella di Halla: un ruolo più piccolo e più semplice che però funge come perfetto complementare rispetto a quello della protagonista, e l’attrice offre un altro ritratto eccezionale la cui importanza è chiarita solo nel sorprendente finale. 
Oltre ad Halla, c’è un altro grande protagonista della storia: il paesaggio islandese. Erlingsson e il direttore della fotografia Bergsteinn Björgúlfsson catturano questo elemento in tutta la sua straordinaria e selvaggia bellezza: l’amore che il regista ha per la natura e per la sua terra traspare in ogni singolo frame, che giustappone in maniera volontariamente stridente lo splendore dell’ambiente e il freddo grigiore delle industrie, delle centrali elettriche e dei cavi ad alta tensione. Altro elemento in primo piano è la colonna sonora, il cui effetto è sottolineato dalla presenza di tre musicisti e di un coro di tre donne ucraine: essi accompagnano la protagonista per tutta la durata del film, suonando, cantando e osservando le sue azioni senza intervenire né commentare. Sono i daimon della protagonista, che rappresentano la sua identità spirituale e che attraverso la musica ispirano e affiancano le sue imprese.

Nessun elemento del film è privo di significato. Anche la gag ricorrente del migrante ispanico che viene arrestato ripetutamente al posto di Halla nasconde una critica tagliente al pregiudizio razziale. Con La donna elettrica, Erlingsson ha creato un prodotto veramente notevole, che riesce ad essere leggero e impegnato al tempo stesso. E il finale è superlativo: non solo per il suo brillante colpo di scena, ma perchè riesce a far coincidere il momento più umano e commovente della storia con un preoccupante e angosciante monito per la società e per il futuro, sempre più a rischio, delle prossime generazioni. Ma soprattutto, La donna elettrica è un ode al coraggio di chi lotta per i propri ideali e non perde la speranza. In un’epoca in cui sembra che le ideologie siano morte, è davvero rincuorante.

La donna elettrica uscirà nelle sale italiane il 13 dicembre 2018.

VOTO: 8/10


Pubblicato

in

, ,

da