Oscar 2019: Record per Lady Gaga e Glenn Close nell’edizione più black di sempre

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Di Daniele Ambrosini
La novantunesima edizione dei Premi Oscar ci ha riservato premi annunciati e sorprese eclatanti, generando in egual misura euforia e delusione per i risultati del riconoscimento cinematografico più in vista del mondo. Come ogni anno, a giochi fatti, analizziamo le più interessanti statistiche che si nascondono dietro l’elenco dei vincitori, evidenziando record e risultati notevoli.

Gli Oscar 2019 sono stati indubbiamente all’insegna della diversità, lo si è notato nell’assegnazione dei premi principali a film dal forte contenuto sociale come Green Book e BlacKkKlansman, ma non solo. Quella di quest’anno verrà sicuramente ricordata come l’edizione nella quale è stato stabilito il record per il maggior numero di vittorie da parte di persone di colore. In ben sei categorie sono stati premiate personalità afroamericane, battendo il precedente record di quattro vittorie risalente al 2017. Tra queste spiccano le due statuette attoriali vinte nelle categorie di supporto da Mahershala Ali e Regina King. A stupire, però, sono gli altri riconoscimenti: grazie alle statuette ricevute per Black Panther, infatti, la costumista Ruth Carter e la scenografa Hannah Beachler sono diventate le prime persone di colore a vincere il premio di categoria, per la Beachler si trattava addirittura della prima candidatura della storia degli Oscar per un afroamericano; altresì sorprendente è che Rodney Rotham, uno dei tre registi di Spider-man – Un nuovo universo, sia diventato il primo afroamericano ad essere nominato e vincere nella categoria dedicata ai film d’animazione. Sempre per la nota diversità, è impossibile non notare la vittoria di registi di origine asiatica nelle categorie miglior documentario, miglior cortometraggio documentario e miglior cortometraggio animato.
Con la sua vittoria per Green Book, Mahershala Ali è diventato il secondo attore di colore nella storia ad aver vinto più di un Oscar, prima di lui solamente Denzel Washington era riuscito nell’impresa. 
Il messicano Alfonso Cuaròn è riuscito a fare la storia degli Oscar diventando il primo regista a vincere l’Oscar alla miglior fotografia, nonché il primo regista a vincere il premio alla miglior regia con un film non in lingua inglese. È curioso notare che con il suo secondo riconoscimento alla regia il totale di vittorie andate ad autori messicani sale a 5 negli ultimi 6 anni, con Damien Chazelle unico non messicano a vincere il premio di categoria dal 2014 in avanti. Inoltre, Roma è diventato il primo candidato messicano a vincere la statuetta al miglior film straniero.
La più grande sorpresa di questi Oscar è stata sicuramente la mancata vittoria di Glenn Close. A trionfare è stata l’inglese Olivia Colman, che ha così rimandando regalato all’avversaria un primato negativo e poco desiderabile: con le sue sette candidature andate a vuoto, la Close è ufficialmente l’attrice ad aver ricevuto il maggior numero di nomination senza mai vincere la statuetta, subito dopo di lei con sei menzioni c’è Amy Adams, anche lei uscita sconfitta ieri notte.
Record più che positivo per Lady Gaga, invece, che con la vittoria dell’Oscar alla miglior canzone originale per il tormentone “Shallow” diventa la prima persona nella storia ad aver vinto un Oscar, un Golden Globe, un BAFTA e un Grammy nello stesso anno. Mentre il pezzo che le ha regalato la vittoria supera ufficialmente “Formation” di Beyoncè e diventa la canzone più premiata di sempre con 31 riconoscimenti totali. 
Rami Malek, americano nato da genitori egiziani, diventa il primo interprete uomo ad avere origini africane a ricevere una statuetta, prima di lui solo le colleghe donne Charlize Theron e Lupita Nyong’o c’erano riuscite. Altra curiosità relativa ai primati nazionali riguarda Ludwig Gorannson, primo svedese a vincere il premio alla miglior colonna sonora e solamente undicesimo cittadino del paese nordico ad essere riconosciuto dagli Oscar con un premio personale competitivo.
La vittoria di Green Book, infine, è un’anomalia statistica a tutti gli effetti, essendo solamente il quinto film nella storia del premio ad aver vinto come miglior film senza avere una candidatura alla miglior regia. In passato solamente Ali (1929), Grand Hotel (1932), A spasso con Daisy (1990) e Argo (2013) erano riusciti nell’impresa di conquistare il riconoscimento principale senza la fondamentale e strategica nomination al regista.