A mettersi di mezzo è stato l’enorme successo ottenuto da Avatar, che ha convinto il regista di Titanic a dedicarsi all’espansione di quell’universo narrativo. A quel punto è entrato in gioco Robert Rodriguez che ha preso la sceneggiatura di James Cameron e Laeta Kalogridis e l’ha modificata con il benestare di Cameron. E nessuno meglio di Rodriguez avrebbe potuto portare in vita quel mondo.
La Città di ferro è un luogo dove tutti gli abitanti del pianeta provenienti da diverse ed ormai perdute culture vivono, creando un utopico mondo multietnico e ben assortito, in cui l’unica distinzione che è possibile fare è quella tra umani e cyborg. Tutti nella Città di ferro sopravvivono a proprio modo, guardando con desiderio a Zalem. La prima vera sfida di Alita, come di qualunque film di fantascienza che si rispetti, era quella di creare un mondo credibile nel quale trasporre la propria storia, ossia rendere credibile la Città di ferro. Rifacendosi ad una dualità, ad una separazione dei mondi in cui uno guarda all’altro con ammirazione e desiderio, in cui uno domina e sfrutta l’altro, tipica della fantascienza e spesso esemplare della stessa natura umana, Alita ha il pregio di non esasperare le caratteristiche negative del mondo “inferiore”, ma di celebrarlo come il vero luogo dell’umanità. Nella Città di ferro vivono tutti coloro che sono rifiutati dall’altissima e sconosciuta società che li governa dall’alto, non per merito, ma per diritto di nascita, e questo fa sì che al mondo di sotto corrisponda, sì, la criminalità e tutta quella sfera ideologica solitamente legata al terzo mondo, alla povertà, agli esclusi, ma anche tutto ciò che di positivo consegue dalla diversità. La Città di ferro è un luogo affascinante che assomiglia un po’ al Sud America, quello che non è solo baraccopoli sovraffollate, ma anche vivacità e colore. Il mondo di Alita, per quanto sia ideologicamente un mondo di serie b rispetto a Zalem, è in realtà un mondo frizzante e pieno di vita, un luogo molto più divertente e meno cupo di qualunque scenario post-apocalittico cinematografico moderno. Non è un luogo di disperazione propriamente detto e questo pone la sua protagonista in una posizione diversa all’interno di questo mondo, che ha molto da offrirle.
Rendere il mondo di Alita reale voleva dire anche rendere Alita credibile, rendere plausibile la convivenza di umani, cyborg e robot nella stessa inquadratura. E sotto il punto di vista tecnico la sfida è stata assolutamente vinta. Alita non solo è fisicamente credibile in scena, ma è anche interessante. Quegli occhi enormi, tanto criticati da chi credeva che Rodriguez e compagnia avessero semplicemente confuso una tratto caratterizzante del disegno manga con una caratteristica fisica del personaggio, sono in realtà un enorme portale d’accesso alle emozioni del personaggio ed è grazie alla connessione istantanea che si crea per via dell’esposizione di quelle emozioni, che non hanno bisogno di essere espresse a parole, che lo spettatore è in grado di umanizzare in breve tempo un personaggio verso il quale si ha, per forza di cose, qualche resistenza iniziale. L’interpretazione in performance capture di Rosa Salazar è ottima e mette in evidenza le potenzialità di questa tecnologia nella quale il lavoro dell’attore è evidente. L’interprete è una presenza reale dietro al modello realizzato al computer, una condizione senza la quale il personaggio non potrebbe esistere e senza la quale non avrebbe una personalità. Quegli occhi lì, sono quelli di Rosa Salazar, che in Alita non lascia solo voce e movimenti.
Robert Rodriguez era l’unico uomo in grado di trasporre un mondo simile con tanta sensibilità e di dipingere Alita in modo tanto umano. Che si tratti di un film a basso budget su un super eroe ideato dal figlio di otto anni (Le avventure di Sharkboy e Lavagirl) o di un adattamento di una delle più acclamate graphic novel degli ultimi anni (Sin City), da ogni suo lavoro emerge sempre tanta, tantissima passione, e Alita – Angelo della battaglia non fa eccezione. Rodriguez è un regista in grado di lavorare con qualunque budget, dai 7000 dollari di El Mariachi ai circa 150 milioni di Alita, e di affrontare qualunque genere con la stessa energia e freschezza, e nessuno meglio di lui avrebbe potuto sostenere un film come questo. C’è il tocco goliardico che lo contraddistingue, c’è tanta azione ed intrattenimento, qualche trovata squisitamente improbabile e al limite del ridicolo, ma c’è anche tanto altro. Alita – Angelo della battaglia non è un fantasy puro, è in parte un action comedy ed in parte uno young adult sulla falsa riga di Hunger Games e Divergent. Alita è un film pieno, un film multiforme, che aveva bisogno di un uomo in grado di cavalcare così tanti registri stilistici con maestria, quale appunto è Rodriguez. Ma, è tutta via innegabile che, pur restando un viaggio godibilissimo, colorato e divertente per tutta la sua durata, Alita – Angelo della battaglia soffra per questo eccessivo accumulo di elementi e cambio di registri. Tanta, troppa la carne al fuoco nel corso del film, tanti gli elementi che non sono realmente necessari o che, pur sembrandolo, non vengono mai realmente approfonditi o giustificati e tutto ciò può generare confusione. Esagerato, potrebbe essere la parola giusta per descrivere Alita, un film che punta a mettere in gioco una mitologia complessa e a porre delle fondamenta solide per un eventuale sequel, appesantendo il primo capitolo, ma, dopotutto, cosa non lo è nel film, esagerato? La stessa Alita, tenendo letteralmente in mano il suo cuore, in un punto cruciale del film dice “con me è così: o tutto o niente”. E per il film vale lo stesso: prendere o lasciare.
In definitiva Alita – Angelo della battaglia è un film stracarico, un piccolo affascinante disastro che ha un cuore enorme. Un film con dei difetti, ma anche con un’anima che molti blockbuster hollywoodiani moderni non possono neanche aspirare ad avere, un film che trasuda passione per il racconto e per il mezzo cinematografico da ogni fotogramma e che proprio per questo risulta divertente e coinvolgente, al netto di tutti i suoi difetti narrativi. Ad averne di più di film così.