American Horror Story: Cult 7×04 “11/9” – La recensione

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Di Edoardo Intonti

Con questo episodio, Cult si conferma il trionfo e la rinascita del format di Ryan Murphy, andato via via negli anni insaporendosi a causa di una cattiva scrittura o scelte narrative stagnanti. Sperando che questo cambio di atteggiamento sia notato, e appezzato dai fan, andiamo ad analizzare questa puntata.


Dopo tre episodi Ally-centrici, l’attenzione viene spostata su Kai, carismatico leader della setta dei pagliacci in una ben bilanciata carrellata di reclutamenti dei vari membri della banda di assassini. Come ogni bravo leader di culto, la sua scelta ricade su  individui in difficoltà: che siano alla canna del gas con i conti di casa, appena usciti da una rehab dopo un crollo nervoso o semplicemente legati ad un palo, Kai è lì, pronto a tendere loro la mano, proponendo come metodo per la risoluzione dei loro problemi il caos e il sangue.

Kai si evolve da Trump-supporter a psicopatico-razzista per diventare l’abile manipolatore al servizio (in teoria) degli indifesi. Complice di tutti, a prescindere da quali siano le loro posizioni politiche, Kai si è circondato di seguaci di ogni tipo, facendo del personaggio di Adina Porter il suo co-capitano (presumibilmente).
La scalata alla conquista del mondo si guadagna un accolito alla volta, ma ad eccezione della giornalista Beverly Hope, probabilmente attenta a sviare l’attenzione del pubblico dai veri colpevoli delle loro imprese, quale ruolo possono avere gli altri membri del culto? Che il poliziotto interpretato da Colton Hayes (assente in questa puntata) sia l’elemento per sviare le indagini dalle azioni della banda? E ancora, cosa lega Ivy e Winter? Scopriamo infatti che le due si conoscevano da ben prima del fantomatico colloquio per il posto da baby-sitter. 
Nonostante il vibe politico sempre presente sullo sfondo, Cult continua a mantenere la promessa di non rimanere intrappolata in tematiche costantemente anti-trumpiane o pro-hilariane, presentando invece personaggi profondi e non stereotipati. Gli stessi Meadow e Harrison, presentati come macchiette comiche di contorno, raggiungono un’inaspettata profondità emotiva, riuscendo a porre Billy Eichner e Leslie Grossman nella stessa situazione di Adina Porter, presentata come parentesi dimenticabile in Murder House e guadagnatasi incredibilmente un ruolo in prima fila in una delle serie più viste degli USA. Questi tre attori, insieme a Chaz Bono, Allison Pill e Billie Lourd rappresentano alla fine, oltre ogni previsione, una relativamente nuova generazione del casting di AHS, sicuramente funzionale in questa incarnazione più “giovanile”del format.

Piacevole ritrovare Emma Roberts in un breve cameo, decisamente funzionale alla trama, per fare la conoscenza diretta del personaggio di Dermot Mulroney nel ruolo del direttore del canale di News, personaggio legato principalmente alla giornalista Beverly Hope ma che rappresenterebbe un’ottimo acquisto alla squadra di Ryan Murphy.

Le domande adesso sono forse ancora più di prima, in questa settima stagione mai così esplicita e scurrile (in senso buono), e che speriamo riesca a mantenere questo alto livello di scrittura fino alla fine, riuscendo a farci dimenticare l’effettiva assenza di alcuni dei vari altri pilastri reggenti della serie (Kathy Bates, Angela Basset, Denis Ohare e l’ormai lontana anni luce Jessica Lange).
VOTO: 9/10

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