Di Massimo Vozza
In questo periodo di crisi per le sale, il successo o meno di un’opera cinematografica al botteghino (insieme al rapporto tra incassi e budget) è diventato un dato ancora più necessario da tenere in conto per promuovere o bocciare un determinato titolo; parallelamente però si sviluppa il lavoro che facciamo qui attraverso le recensioni, le quali non dovrebbero mai lasciarsi influenzare dai numeri, un po’ come non dovrebbe il pubblico stesso, cercando quindi sempre di entrare nel merito quando si dibatte di un prodotto audiovisivo, e per far sì che questo accada si deve obbligatoriamente vedere il prodotto in questione.
Negli USA i bassi incassi e la critica spaccata a metà hanno già suggellato il flop di Babylon, l’ultima fatica (in tutti i sensi) di Damien Chazelle, il più giovane regista ad aver vinto un premio Oscar, ma il resto del mondo (tra cui l’Italia) solo adesso avrà la possibilità di provare a ribaltare la situazione e il perché ne varrebbe davvero la pena sta a chi scrive spiegarlo.
Ispirato ad alcuni fatti (leggendari o meno) accaduti nel passaggio tra cinema muto e sonoro in California (alcuni dei quali liberamente tratti da Hollywood Babilonia di Kenneth Anger), Babylon è uno degli esempi più ambiziosi (quasi pretenziosi) di raccontare il mondo della settima arte attraverso la settima arte stessa. L’opera è una folle avventura di oltre tre ore, satura di citazioni che attraversano l’intera storia del cinema, un’orgia visiva (e non) che fa eco ad altri titoli, da C’era una volta… a Hollywood a Boogie Nights, passando per The Wolf of Wall Street, ma che rispetto a questi tenta di alzare l’asticella ancora di più, sfiorando l’eccesso, senza mai imitarli; a livello emozionale, Babylon è totalmente paragonabile a una corsa sulle montagne russe: fa ridere (molto) ma non solo, perché c’è romanticismo, c’è inquietudine, c’è dramma.
La mano di Chazelle poi è riconoscibile dai primissimi istanti: una regia musicale che alterna piani sequenza e panoramiche a montaggi serratissimi ricchi di dettagli (costumi e scenografie curati perfettamente), il tutto sostenuto dall’incredibile e memorabile colonna sonora del collaboratore e amico Justin Hurwitz. L’opera in toto la si potrebbe definire una sorta di discesa negli inferi di La La Land o un Cantando sotto la pioggia che ha fatto uso di sostanze stupefacenti.
Margot Robbie, Diego Calva e Brad Pitt sono i mattatori assoluti con le loro interpretazioni ma sono circondati da un cast perfetto dall’inizio alla fine. L’epopea raccontata quindi non dimentica mai i suoi personaggi, i quali restano il cardine della narrazione anche quando questa finisce con il travolgerli; il rischio di venir a sua volta investito da tutte quelle immagini e da quei suoni è invece quello corre lo spettatore, con la possibilità di uscirne a pezzi.
Chazelle però alla fine vuole dare la possibilità di rimetterli insieme, esattamente come distrugge e ricostruisce la storia del cinema stessa, perché Babylon è sì una lettera d’amore dedicata alla settima arte ma anche di odio: a volte capita di odiare proprio ciò che amiamo follemente ma solo per infine tornarlo ad amare, forse addirittura di più o con maggiore consapevolezza, e spesso grazie all’esperienza vissuta nella penombra di una sala, guardando il film giusto ovviamente. E questo è assolutamente il film giusto da godersi rigorosamente in sala.
Babylon sbarca nelle sale italiane con Eagle Pictures e Paramount Pictures da giovedì 19 gennaio
VOTO: ★★★★½