Beau ha paura – La recensione della commedia nera con Joaquin Phoenix

Seguici anche su:
Pin Share

Di Simone Fabriziani

Dopo lunghissima attesa, anche le sale cinematografiche nostrane stanno per dare il benvenuto all‘ultimo lungometraggio scritto e diretto da Ari Aster, peculiare cineasta statunitense che con i suoi due precedenti lungometraggi (Hereditary e Midsommar), è riuscito a riscrivere con grande efficacia e potenza narrativa il nuovo cinema horror. Con Beau ha paura, Aster però si discosta dagli stilemi prettamente di genere che avevano contraddistinto le sue prime tappe sul grande schermo per mette in campo un vero e proprio incubo ad occhi aperti di matrice freudiana.

Beau Wasserman (Joaquin Phoenix) è un uomo di mezza età eroso dall’interno da paure e fobie incontrollabili; vive nel cuore di un quartiere malfamato e pericolosissimo, all’interno di un claustrofobico appartamento di un condominio del terrore. Quando una fatidica telefonata gli rivela che sua madre Mona (Patti LuPone) è accidentalmente venuta a mancare, Beau inizia un viaggio lisergico ed imprevedibile verso la casa materna, tra fantasmi interiori, incubie e desideri intimi dove il confine tra realtà ed immaginazione si fa sempre più labile.

Con le sue (quasi) tre ore di durata, Beau ha paura è senza dubbio il lungometraggio più viscerale ed ambizioso di Ari Aster eppure qualcosa sembra non funzionare. Vuoi perché il regista e sceneggiatore si prende il lusso di aggiungere alla sua filmografia dietro la macchina da presa un pellicola totalmente libera da pressioni e paletti di matrice produttiva facendosi generosamente distribuire (ancora una volta) da A24, vuoi perché realizza una vera e propria odissea cinematografica in cui il topos ancestrale del viaggio come rito di passaggio e auto-consapevolezza per il protagonista viene utilizzato come mezzo per regalare allo spettatore 190 minuti tra i più densi e stratitficati di questa prima metà del 2023 sul grande schermo.

Nei panni dell’impaurito e fragile Beau Wasserman, Joaquin Phoenix dona corpo ed anima ad una mente distrutta, dove i labili confini tra realtà pura e dura della narrazione-fiume ed immaginazione vengono sempre più a mancare, costringendo lo spettatore ad interrogarsi a più riprese sull natura stessa della pellicola scritta e diretta da Aster. Intediamoci, il cineasta statunitense giunto alla sua terza opera dietro la macchina da presa, è chirurgico ed inventivo, ed in Beau ha paura crea ancora una volta un’esperienza cinematografica di carattere visivo/uditiva di grandissimo spessore; a latitare però questa volta è una solida scrittura che giustifichi il minutaggio “ingombrante”, con lo spiacevole risultato di aver assisito a fine proiezione più che altro ad un rachitico sfoggio di maestria tecnica e provocatorietà senza possibilità di risoluzione finale.
Per questo motivo alla fine della fiera Beau ha paura, più che appartenere in toto alla poetica e le ossessioni narrative di Ari Aster (che pure in questo film inserisce con efficacia elementi ricorrenti che avevano invece fatto grandi titoli come Hereditary e Midsommar), sembra ricordare da vicino, fin troppo vicino, i labirinti narrativi di Charlie Kaufman. Tra colpi di genio e furba cialtroneria, Beau ha paura si attesta come ennesimo appuntamento cinematografico d’autore di lungometraggio a tinte psicologiche dove la struttura a rompicapo è però molto meno intelligente di quanto non si voglia dare a vedere a prima vista.
Che tutto sommato è un vero peccato, vista la vulcanica maestria dietro la macchina da presa di Aster, stavolta inspiegabilmente invischiato in una black comedy surreale tutto sommato derivativa ma che Sigmund Freud avrebbe particolarmente amato. 

Beau ha paura arriva nelle sale italiane a partire da giovedì 27 aprile con I Wonder Pictures

VOTO: ★★½


Pubblicato

in

da