Di Gabriele La Spina
Una donna bendata su una barca a remi, insieme a due bambini senza nome, percorre un fiume quasi senza meta. Frase che potrebbe essere facilmente estrapolata da uno degli evocativi brani di Neil Young, eppure non si tratta della strofa di un cantante folk, bensì di uno dei due filoni narrativi di Bird Box; ultimo film di Susanne Bier, regista premio Oscar per In un mondo migliore, che non si dedicava a un lungometraggio dal 2014, dopo il melò Una folle passione.
La televisione è stata l’unica casa della regista danese, dove con la serie The Night Manager ha conquistato la critica e un Emmy. Quale posto migliore dunque se non Netflix, che ormai coniuga la creatività degli autori cinematografici con la rapida fruizione televisiva, per tornare a dirigere un lungometraggio.
Bird Box rappresenta un capitolo differente nella categoria delle Bier, da sempre più interessata ai rapporti sociali e ai drammi sentimentali, basti pensare al cult Non desiderare la donna d’altri, o a Dopo il matrimonio. Di sicuro The Night Manager ha rappresentato uno scossone per la Bier, che si è dedicata al crime-thriller, e adesso sembra impegnata nel battere più generi differenti. Con Bird Box si aggira in un territorio horror fantascientifico, o ancora distopico, adattamento ad opera di Eric Heisserer, nominato all’Oscar per Arrival, del romanzo di Josh Malerman pubblicato nel 2014. Non è da escludere che il lavoro di Malerman abbia influenzato lavori come quello di John Krasinski con A Quiet Place, tuttavia va considerata l’evidente influenza di opere come “Cecità” di José Saramago, che ha avuto un equivocabile impatto su Malerman.
Nel film, come già accennato, assistiamo a due storyline ben scandite che in un certo senso contribuiscono alla dualità di genere del racconto. Nel primo vediamo la protagonista Malorie percorrere un fiume in barca, bendata, in un paesaggio desolato, post-apocalittico; nel secondo, considerabile un lungo flashback, la stessa protagonista ai giorni nostri dove un’entità sconosciuta, che sembra un po’ sedurre le sue vittime tanto da ricordare l’iconico It del romanzo di Stephen King, induce chi la guarda al suicidio. Sono molteplici le storie su questo genere già viste al cinema, eppure in Bird Box troviamo quello stimolo in più per seguire le vicende. Se nel filone distopico, l’ambientazione è più sporca, tetra, fatta eccezione delle bende sugli occhi dei tre personaggi (Malorie, bambino e bambina) dai colori quasi sgarcianti; nel filone, che segue poi dinamiche da survival horror, tutto è ancora in fase di decadenza, dove seguiamo dialoghi e interazioni nel gruppo nel quale Malorie viene accolta dopo il disastro e il panico che ha coinvolto la sua città. Ed è proprio in quelle interazioni che traspare, seppur in modo annacquato, il sentore dell’opera di Saramago; dove al contrario la popolazione diviene tutta misteriosamente cieca, eccetto una donna e il punto di forza era rappresentato dagli ironici e filosofici dialoghi tra i personaggi secondari. Bird Box offre infatti un ottimo cast di supporto oltre la protagonista Sandra Bullock, affiancata da Jacki Weaver, John Malokovich, Danielle Macdonald e Tom Hollander; c’è una scena in particolare dove si deve decidere chi dovrebbe uscire per fare provviste, e si assiste a uno scambio che caratterizza rapidamente le personalità dei personaggi.
L’efficacia della sceneggiatura, nella sua dualità, ironia e sentimentalismo mai eccessivo, non sarebbe stata valente senza la regia della Bier, che dimostra un’inaspettata forza comunicativa; non vi è solo Kathryn Bigelow a Hollywood come regista che “porta i pantaloni”, poiché la Bier dosa momenti di tensione a sequenze suggestive; l’uso frequente della visione in prima persona risulta vincente, dando la possibilità di una full immersion nell’esperienza dei protagonisti, e la resa dell’entità sinistra, ricorda un po’ quanto fatto da Sam Raimi con La casa. Bisogna darle atto della capacità di riuscire a portare gradualmente a continui climax della narrazione, senza risultare ridondante, e sempre più intensamente. La Bullock inoltre, provando che certi interpreti migliorano invecchiando proprio come il buon vino, risulta ottima nel ricalcare un ruolo ansiogeno come già fatto in Gravity di Alfonso Cuarón, probabilmente ad oggi miglior performance della sua carriera.
VOTO: 8/10