Caro Evan Hansen – La recensione del fenomeno musical con Ben Platt

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Di Massimo Vozza

La Festa del Cinema di Roma in coproduzione con Alice nella città hanno presentato Dear Evan Hansen, adattamento cinematografico dell’omonimo musical che debuttò a Washington nel 2015 per poi arrivare a Broadway l’anno successivo e infine vincere diversi Tony tra i quali quello per il miglior musical. Il rapporto tra cinema e teatro perdura dagli albori dei film narrativi, di finzione, e trasposizioni così immediate da un forma di spettacolo all’altra hanno effettivamente dei precedenti, come ad esempio The Prom (Ryan Murphy, 2020), difficile però dire che l’operazione riesca ogni volta. E anche in questo caso non è riuscita.

Premessa: chi sta scrivendo la recensione non ha avuto occasione di assistere alla versione on stage, quindi non potrà fare paragoni di alcun genere. Accostandosi quindi esclusivamente al film una domanda è venuta spontanea non appena si sono riaccese le luci in sala: il materiale narrativo si prestava bene al genere musical? Basandoci solo su questo prodotto viene da rispondere di no. Il racconto di Evan Hansen, studente all’ultimo anno affetto da fobia sociale che in seguito alla morte di un compagno del suo liceo si ritrova inaspettatamente popolare, forzatamente viene accompagnato dal canto dei personaggi, soprattutto del protagonista, con il palese scopo di amplificare i sentimenti e il dramma luttuoso che, senza quasi lasciarci respirare, percorre costantemente e pesantemente l’intera eccessiva durata.

Nonostante dietro vi siano le firme di Pasek & Paul (i parolieri premio Oscar delle canzoni di La La Land) insieme al drammaturgo Steven Levenson (qui sceneggiatore), la maggior parte dei brani di Dear Evan Hansen risulta piatta e ripetitiva (sarà che a mancare sono le composizioni di Hurwitz) e l’interpretazione dei suddetti da parte del protagonista Ben Platt ha un evidente problema: mentre nei momenti vocalmente meno impegnativi l’attore riesce a bilanciare bene recitazione e canto (si tratta sempre dell’avvio e/o della conclusione della canzone), durante la maggior parte del tempo dell’esibizione si concentra troppo sulla voce, regalando sì momenti canori degni ma spogliati della carica emotiva che la scena avrebbe richiesto dall’inizio alla fine. Inoltre Ben Platt è nel film visibilmente troppo adulto per potersi calare realisticamente nel ruolo che l’ha reso famoso a teatro. Il resto del cast, dalle giovani talentose Kaitlyn Dever e Amandla Stenberg alle veterane Amy Adams e Julianne Moore passando per il bravo Colton Ryan (ahimè troppo poco presente), è azzeccato e rende abbastanza bene (chi più e chi meno) sia nella recitazione che nel canto ma siamo lontani dalle tante prove memorabili che il genere musical ci ha regalato anche negli ultimi anni.

Per chiudere però si vuole anche evidenziare alcuni aspetti positivi assolutamente non trascurabili: Dear Evan Hansen si inserisce perfettamente in un filone di titoli per adolescenti (come Noi siamo infinito e Wonder, diretti anch’essi da Stephen Chbosky, oppure ad esempio Love, Simon), i quali privi di pretese strettamente cinematografiche si concentrano soprattutto sul comunicare con il proprio pubblico di riferimento, affrontando tematiche anche difficili e aiutando ad accettare se stessi, chi è diverso da noi e cercando di ricordare costantemente che non si è davvero mai soli.

VOTO: ★★ ½


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