Di Massimo Vozza
Il regista americano Todd Haynes con Cattive acque decide di intraprendere una strada per lui inedita ma in realtà tanto cara al cinema statunitense, ossia la trasposizione cinematografica di un evento di cronaca, praticamente a noi contemporaneo, basato su un articolo di Nathaniel Rich per il New York Times Magazine.
Nel 1998 Robert Bilott, avvocato societario specializzatosi nella difesa di aziende chimiche, riceve la chiamata di un agricoltore di Parkersburg che gli chiede di indagare su un possibile collegamento tra la presenza di un impianto della DuPont nelle vicinanze della sua fattoria e un’insorgenza anomala di tumori e malformazioni nelle sue mucche. La ricerca di Bilott porterà a galla lo scandaloso e impunito inquinamento idrico ai danni della popolazione da parte della azienda per smaltire il proprio acido perfluoroottanoico.
Il genere thriller si presta decisamente al soggetto di partenza eppure questo nelle mani del cineasta ci appare fin troppo diluito e non abbastanza incisivo nella costruzione psicologia dei soggetti coinvolti. La denuncia resta sempre centrale e la ricostruzione dei fatti è decisamente accurata, ma il ritmo del racconto non aiuta a immergervisi appieno: non è tanto una questione di lentezza quanto proprio di mancanza di ritmo, perlomeno nelle sequenze più di passaggio dell’intera vicenda, quelle meno interessanti seppur necessarie.
È indubbio che anche la messa in scena sia curata (soprattutto la fotografia di Lachman, ricorrente collaboratore di Haynes) eppure manca quel je ne sais quoi che lo elevi a prodotto di una certa valenza cinematografica come altri titoli passati del regista, qui eccessivamente concentrato sulla ricostruzione dei fatti e meno sul valore artistico ed emotivo (quest’ultimo a un certo punto emerge anche se tardi).
Innegabile è anche la capacità di Todd Haynes di dirigere gli interpreti: Mark Ruffalo, Anne Hathaway, Tim Robbins e Bill Pullman rendono decisamente onore ai loro personaggi con performance davvero buone nonostante la scrittura non li abbia indagati abbastanza. Ruffalo soprattutto, nel ruolo del protagonista, punta tutto su una performance minimale che sottrae il più possibile il dramma, in contrasto con una Hathaway che esplode in quelle due/tre scene dove il personaggio della moglie Sarah riesce ad emergere.
Cattive acque insomma ripropone un’altra storia di denuncia in maniera forse più sofisticata di altri titoli recenti del genere ma comunque non abbastanza da diventare degna di nota rispetto al cinema contemporaneo e alla filmografia di questo particolare cineasta.
VOTO: 6,5/10