Di Simone Fabriziani
La vita di Adonis Creed è diventata un equilibrio tra gli impegni personali e l’allenamento per il suo prossimo grande combattimento: la sfida della sua vita. Affrontare un avversario legato al passato della sua famiglia, non fa altro che rendere più intenso il suo imminente incontro sul ring. Rocky Balboa è sempre al suo fianco e, insieme, si preparano ad affrontare un passato condiviso, chiedendosi per cosa valga la pena combattere per poi scoprire che nulla è più importante della famiglia. Da giovedì 24 gennaio al cinema arriva Creed II, sequel della saga collaterale iniziata nel 2015 con il fortunatissimo film di Ryan Coogler.
A prendere però il testimone dietro la macchina da presa è qui l’abile Steven Caple Jr., da una sceneggiatura curata quattro mani da Juel Taylor e dallo stesso Sylvester Stallone, qui ancora nei panni dell’immortale Rocky Balboa, figura paterna per il determinato e sanguigno Adonis Creed interpretato dal sempre più lanciato Michael B. Jordan. Se il Creed del 2015 era una efficacissima glorificazione di tutto ciò che nel corso dei decenni a partire dal suo primo capitolo (Rocky, 1976) aveva portato alla consacrazione pop del pugile creato dallo Stallone ritraendo un commovente passaggio di testimone tra vecchia e nuova guardia, il sequel di Caple Jr. sedimenta invece una nuova consacrazione, quella (definitiva, almeno sul piano squisitamente narrativo) di Adonis Creed, figlio di Apollo.
Riproponendo temi e situazioni speculari al poco fortunato Rocky IV (1985, diretto da Sylvester Stallone) grazie al ritorno sul ring di un ritrovato Ivan Drago affamato di vendetta (Dolph Lundgren, ovviamente), Creed II si attesta come pulita e straordinariamente efficace riflessione sul senso dell’eredità, sul potere del passato e sulla forza del futuro. Lontano dalle pretese autoriali che avevano fatto il successo di pubblico e critica del primo capitolo del 2015 del regista di Black Panther (qui ancora in veste di produttore esecutivo), il sequel in arrivo nelle sale italiane giovedì 24 gennaio con la distribuzione di Warner Bros. Pictures è però a tutti gli effetti un piccolo miracolo.
Lo è perché sa intrattenere senza strabordare, commuovere senza essere ruffiano, emozionare senza allontanarsi dal cuore pulsante del successo pluridecennali della saga di Rocky Balboa, ora definitivamente assurto a icona paternalistica al bordo del ring, maestro di vita di un Adonis Creed che stavolta raccoglie il titolo, e rende il film un successo ancora una volta.
VOTO: 7,5/10