Di Massimo Vozza
Empire of Light promette di essere un’opera evocativa, che scava a fondo nella psicologia e nel sentimento dei personaggi ma tutto in realtà resta in superficie, quasi non si conoscesse ciò che si sta raccontando. Una sceneggiatura così basica e prevedibile va a scapito anche delle capacità del cast che alterna scene in cui cerca di compensare alla pochezza dei dialoghi ad altri in cui appare svogliato se non addirittura fuori ruolo. E quel che è peggio è che il titolo aveva senza alcun dubbio delle pretese, soprattutto a livello tematico, seppur il risultato sia l’aver raccontato troppo e male.
Indubbiamente il lavoro svolto dalla fotografia di Roger Deakins e dalla colonna sonora composta dal duo Trent Reznor e Atticus Ross è particolarmente riuscito, ma viene da pensare che, per contrasto con il resto, sia sprecato per un film del genere. La relazione a due, caratterizzata dal gap dell’età e dalla diversa etnia, viene quindi incorniciata da immagini bellissime, degne del grande schermo, accompagnate da melodie quelle sì evocative senza però riuscire ad andare (a livello narrativo) oltre il romanzo rosa preso in una cesta delle occasioni.
Il ruolo stesso del cinema, quello con la minuscola che fa da scenografia ricorrente alle diverse scene e quello con la maiuscola che viene proiettato sullo schermo, acquista e perde importanza in modo altalenante per l’intero film (il cui titolo è inoltre strettamente legato alla sala cinematografica). Siamo ben lontani quindi dai tentativi di realizzare una lettera d’amore e/o d’odio per la settima arte di Spielberg o Chazelle (con opere decisamente agli antipodi alle quali Mendes avrebbe potuto aggiungere un sua terza e personale visione).
L’acclamato regista, sceneggiatore e produttore britannico insomma ha fatto un buco nell’acqua: speriamo solo se ne sia reso conto così da poter davvero tornare sui suoi passi.
VOTO: ★★½