Gloria Bell – La recensione del remake con Julianne Moore e John Turturro

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Di Daniele Ambrosini

Dopo l’Oscar vinto con Una donna fantastica e ed aver esordito in lingua inglese con Disobedience, Sebastian Lelio sbarca in America con Gloria Bell, remake di Gloria, film da lui stesso diretto nel 2013. In un’operazione quantomeno insolita, Lelio trasporta la sua storia ed i suoi personaggi da Santiago del Cile a Los Angeles, mantenendo intatto lo spirito dell’originale, ma variandone il tono e, soprattutto, alcuni tratti della protagonista che così, grazie anche alla splendida interpretazione di Julianne Moore, assume sfaccettature nuove ed inedite, giustificando ampiamente la riproposizione del progetto in territorio americano.

Gloria è una donna di mezza età, madre divorziata di due figli ormai adulti che vede sempre meno. Gloria è una donna solare, allegra, forse un po’ ingenua, che ama divertirsi e trascorre molte serate in un night club per single dove incontra Arnold, uomo recentemente divorziato con il quale intraprende una relazione stabile. Tra i due c’è una bella intesa, ma ben presto Gloria dovrà fare i conti con tutte le complicazioni che iniziare una storia d’amore alla sua età comporta, nonché con la complicata situazione familiare di Arnold, succube delle figlie e della ex moglie che occupano ancora gran parte del suo tempo. 
Gloria Cumplido nell’originale cileno era una donna ruvida, sempre di animo gentile e dall’atteggiamento positivo, ma fondamentalmente conscia degli aspetti negativi della propria vita, una donna in bilico incapace di trovare in giusto equilibrio tra ciò che ha dentro e tutto ciò che è il mondo che le gravita intorno; Gloria Bell è (almeno in parte) diversa: è una donna solare velata da una leggera tristezza che non solo non riesce a spiegarsi, ma che cerca di mandare via, è una donna ingenua nel senso più positivo del termine, incapace di mettere la sua vita in prospettiva e di guardarla dall’esterno, con oggettività. Proprio nel grado di consapevolezza di sé sta la grande differenza tra i due personaggi. 
Una Gloria più spensierata comporta un film dal tono più leggero. Il secondo take di Sebastian Lelio su questa storia, infatti, è più composto, più pulito, privo delle spigolosità e delle ruvidità del film originale. Gloria Bell è di per sé un film estremamente solare, che riflette a pieno lo spirito del personaggio, laddove invece Gloria è un film che mette in risalto attraverso la forma principalmente gli aspetti più cupi della sua protagonista. Sono due facce della stessa medaglia, due approcci ugualmente validi ad un personaggio tridimensionale caratterizzato da luci e ombre. Questa aria di leggerezza sostanziale che si respira per tutto il film, infatti, non è necessariamente un male, la storia di Gloria parla da sé e non c’è alcun bisogno di rimarcare costantemente i suoi insuccessi o i momenti di maggiore sconforto. L’unico appunto che si può fare a questo tipo di approccio, e perciò all’intero film, è che finisce per intaccarne l’incisività nella parte finale, che risulta meno pungente ed accattivante della chiusa di Gloria.
Pur adottando un tono meno serioso del suo predecessore (e, a dirla tutta, di tutta la sua filmografia), Lelio non rinuncia al retrogusto dolce amaro insito nella storia, in grado di darle una discreta profondità anche quando la leggerezza di questo approccio formale (e, soprattutto, estetico) sembra avere la meglio. Basta poco, a volte solo lo sguardo di una straordinaria Julianne Moore, per cambiare radicalmente una scena ed arricchirla di sotto testo.
Lelio aggiunge pochissimi nuovi elementi in quello che è praticamente un remake shot-for-shot dell’originale, ma ciò non significa che questo Gloria Bell non sia, a suo modo, un prodotto completamente nuovo e, per di più, fresco. I piccoli ma essenziali cambiamenti nella caratterizzazione del personaggio, strettamente correlati alla variazione di tono, sono essenzialmente dovuti alla necessità di sradicamento del personaggio dalla sua arena e l’inserimento in un contesto del tutto nuovo. La media borghesia losangelina è mediamente più benestante di quanto non lo sia la stessa fascia sociale a Santiago del Cile, ed allo stesso modo il rapporto con la famiglia negli USA è decisamente diverso da quello che si ha nel paese sudamericano; questi e altri accorgimenti fanno sì che Gloria Bell assuma dei connotati mirati alla sua collocazione geografica, ossia, diventi un personaggio diverso da Gloria Cumplido, e ciò basta a giustificare l’esistenza di questo remake.
Non sono poi molti i personaggi femminili realmente validi per attrici oltre i cinquant’anni d’età, in Sudamerica, negli Stati Uniti, in Europa, un po’ ovunque a dirla tutta, tanto che verrebbe da dire che ogni paese dovrebbe avere il suo adattamento di Gloria, non solo per celebrare personaggi così umani e sottorappresentati, ma anche per dare la possibilità ad ottime interpreti di confrontarsi con un personaggio del genere. Non ce ne voglia Sebastian Lelio, ma è Gloria l’essenza di entrambe le trasposizioni. Questa volta a vestire gli splendidi panni della protagonista è una Julianne Moore eccezionale, nella sua prova migliore da diversi anni a questa parte, è lei il cuore ed il motore del film, nonché la sua ragion d’essere. Ad affiancarla un simpatico John Turturro, forse un po’ più caricaturale della sua controparte cilena, Michael Cera, le star televisive Holland Taylor e Brad Garrett e, in una piccolissima parte, Sean Astin.
La nostra di proporre un adattamento di Gloria per ogni paese è, ovviamente, una provocazione (seppur sarebbe interessante immaginare come una storia del genere potrebbe funzionare in suolo italiano), ma che si possa imparare dal modo in cui Lelio tratta i suoi personaggi femminili, soprattutto in un periodo così poco esplorato come la seconda metà dei cinquanta, è qualcosa in cui crediamo fortemente. Gloria è un modello, un archetipo cinematografico, al quale bisognerebbe guardare con ammirazione.
VOTO: 7,5/10