Di Daniele Ambrosini
Homeland torna sugli schermi americani il 15 gennaio, con una sesta stagione incentrata su fatti accaduti nel periodo di tempo che intercorre tra l’elezione del nuovo presidente e il suo insediamento, solo 5 giorni prima dell’insediamento di Donald Trump. Scelta curiosa ma che non stupisce visto che la serie creata da Alex Gansa e Howard Gordon è sempre stata molto attenta alla realtà dello scenario politico mondiale che costituisce le fondamenta dello show.
Homeland è stata a lungo una serie in continua evoluzione che non ha avuto paura di rischiare, si è visto quando alla fine della terza stagione c’è stata quella che è definibile come la svolta decisiva per lo show: la morte di Nicholas Brody. Da allora Homeland si è reinventata con una straordinaria quarta stagione, ambientata principalmente tra Kabul e Islamabad, ed una quinta stagione non sempre esaltante, ambientata a Berlino. Questo periodo di peregrinazione ha permesso alla serie di seguire più attentamente lo scenario politico mondiale e di sviluppare storie nuove per sopperire alla mancanza di un personaggio come Brody che nelle prime stagioni era stato uno dei nuclei centrali soprattutto grazie alla sottotrama che riguardava la sua vita privata, la sua famiglia e la sua relazione con Carrie. Da quella terza stagione gli spezzoni dedicati alla vita privata della protagonista, sebbene sempre presenti, sono stati notevolmente ridotti in quanto non sempre ricollegati alla trama principale, come accadeva con il personaggio interpretato da Damien Lewis, e forse perché meno interessanti.
Arrivato alla sesta stagione Homeland torna negli Stati Uniti. Carrie lavora ancora per la fondazione di Otto During mentre Saul e Dar Adal fanno la conoscenza del nuovo presidente eletto ed hanno il compito di porre le basi per la futura collaborazione tra i rispettivi uffici; trova inoltre risoluzione la situazione di Peter Quinn, lasciata irrisolta nel finale della scorsa stagione. La solita sottotrama legata alla vita privata di Carrie va inevitabilmente incontro a dei cambiamenti soprattutto per quanto riguarda i suoi rapporti con Peter Quinn, Otto During e la figlia Frannie: questo primo episodio indugia molto sul tentativo di Carrie di fare ordine nella propria vita e di ristabilire i giusti rapporti con le persone che ha vicino.
Questa stagione non tratterà di attentati o terrorismo vero e proprio – infatti negli Stati Uniti il rischio reale di attentati è minimo- ma si concentrerà sul problema radicalizzazione. Perciò come base per questo aspetto della trama, l’episodio introduce la figura di un ragazzo musulmano che posta alcuni video sul web.
Fair Game ha il compito di introdurre lo spettatore ad una stagione di novità, non siamo ancora nel vivo dello show, il primo episodio espone semplicemente le premesse di questa sesta stagione. Che l’episodio sia qualcosa di diverso rispetto a quello che vedremo nel prosieguo della stagione lo suggerisce il fatto che non ci sia la sigla di apertura, rimandata infatti al prossimo appuntamento, quando le basi saranno state poste e potrà iniziare la narrazione vera e propria.
Nonostante sia un buon episodio ed assolva perfettamente al suo compito di apripista, i tempi scenici troppo dilatati non gli permettono di brillare e anche la sempre bravissima Claire Danes sembra messa da parte per un momento, eppure è lei il punto forte di Homeland.
L’impressione è quella di trovarsi davanti ad una serie che va avanti con il pilota automatico (sensazione già avvertita durante la quinta stagione), come se Homeland avesse perso la sua capacità di rischiare e si muovesse su delle linee guida prestabilite, che porteranno inevitabilmente a dei colpi di scena ma che forse non sono più imprevedibili come una volta. Ma questa è, per l’appunto, solo un’impressione. Dopotutto questo primo episodio potrà non convincere del tutto ma non è affatto da buttare via, anzi.
Un giudizio più completo si formerà con l’arrivo dei nuovi episodi, e noi vi diamo appuntamento alla prossima settimana.
VOTO: 7/10