Il diritto di contare – La recensione

Seguici anche su:
Pin Share

Di Simone Fabriziani

La Guerra Fredda, la lotta tra USA e Russia per il dominio del pianeta dopo le macerie della Seconda Guerra Mondiale e la corsa al dominio anche dello spazio; una storia da veri duri che però nasconde una straordinaria storia di emancipazione femminile. Il diritto di contare di Theodore Melfi racconta la vera storia dietro il riarmo della NASA per battere in corso d’opera le conquiste spaziali della Russia, prima nazione ad inviare tra le stelle una sua navicella.

Eppure molti non sanno che le menti geniali dietro le conquiste spaziali americane del tempo sono state Katherine Johnson  e Dorothy Vaughan, brillanti menti matematiche “coloured” che hanno ampiamente influenzato gli esiti positivi del primo lancio spaziale americano e la decodifica della complessa ed innovativa macchina IBM, a quel tempo la più raffinata calcolatrice scientifica mai realizzata.
A dare un volto alle grandi menti matematiche femminili dell’epoca un trio d’attrici d’eccezione: Taraji P. Henson, il Premio Oscar Octavia Spencer e Janelle Monàe, quest’ultima nei panni di Mary Jackson, prima donna afroamericana ad aver insegnato matematica in una scuola pubblica statunitense. Peccato che l’esperienza cinematografica dell’adattamento di Melfi sia, in assenza di termini più adatti, cotta e mangiata.

Tratto dal romanzo “Hidden Figures” di Margot Lee Shetterly e adattato per il grande schermo dallo stesso Theodore Melfi e da Allison Schroeder, Il Diritto di Contare racconta una commovente storia di femminismo e di lotta per i diritti afroamericani in un nodo storico statunitense delicato e pregnante con poca verve narrativa e un obiettivo grandangolare sui personaggi e sulle pur complesse vicende privo di focalizzazione.
Alla stregua di classici popolari sul discorso dell’emancipazione afroamericana come The Help (2011) di Tate Taylor, “Il Diritto di Contare” non è poi cosi dissimile da un buon prodotto televisivo (che poi oggi sarebbe quasi un complimento): accessibilissima ad un vasto pubblico di ogni età, politically correct, didascalica e perfettamente consultabile come fosse una limpida pagina di approfondimenti di Wikipedia; l’usa e getta della sensibilizzazione sul grande schermo della questione afroamericana non ha mai raggiunto picchi cosi ruffiani e senza spina dorsale come nel film cotto e mangiato di Theodore Melfi. Ulteriore conferma che non basta un irresistibile trio di interpreti e una magnifica storia vera di riscatto sociale a meritare il grande schermo.

Lo spettatore medio applaudirà e si commuoverà, complice anche la partecipazione nel già sontuoso cast del Premio Oscar Mahershala Ali, il Premio Oscar Kevin Costner, Kirsten Dunst e un inedito Jim Parsons.

VOTO: 6/10