Di Simone Fabriziani
Alzi la mano chi ha davvero letto il romanzo omonimo dello scrittore e colonialista britannico di fine Ottocento Rudyard Kipling da cui sono stati tratti i centinaia di adattamenti cinematografici e televisivi; e la Disney ovviamente ci è dentro fino al collo, a partire dal celeberrimo cartoon del 1967 diretto da Wolfgang Reiterman, di cui tutti più o meno conosciamo le filastrocche e i ritornelli delle canzoni più amate e fischiettate.
E quindi, alla luce del rinnovato interesse della Disney da almeno 6 anni a questa parte di rischiare il tutto per tutto con una serie di ri-adattamenti live action delle loro più immortali fiabe, come si inserisce il film di Jon Favreau (si, lo stesso dei primi due capitoli di Iron Man)?
Se i precedenti adattamenti in live action non ci avevano mai pienamente convinto, questo tutto sommato non fa eccezione; eppure l’amore per la trasposizione quasi filologia per il materiale letterario originale e un fotorealismo mozzafiato nel portare in vita i variopinti abitanti animali della giungla gli danno una notevole marcia in più.
In questa nuova trasposizione c’è (quasi) tutto: un bambino tragicamente abbandonato nella giungla da un padre ferocemente accoppato da una tigre malvagia, una saggia e caritatevole pantera che ha pietà per il cucciolo d’uomo e che lo affida al branco dei lupi, e la minaccia incombente della tigre Shere Khan che tanto perdona ma mai dimentica i torti subiti in passato: il cucciolo d’uomo deve morire.
E allora via alla fuga nella giungla per ritornare al villaggio degli uomini dove il piccolo Mowgli sarà sicuro; ma il viaggio nelle insidie della foresta sarà l’espediente per il cucciolo d’uomo di venire a conoscenza di animali pericolosi, subdoli e bramosi di potere; tutti vorrebbero essere come lui, tutti vorrebbero possedere il misterioso “fiore di luce”. Chi potrà mai salvare Mowgli dalle insidie della giungla?
Ciò che rende l’adattamento di Favreau una spanna sopra i precedenti adattamenti live-action è l’irresistibile mix tra una solida sceneggiatura (rimane difatti intatto il viaggio di crescita e auto-accrescimento del piccolo protagonista verso l’accettazione della propria identità) e lavoro di copertura visuale da applausi: se gli animali sembra quasi sentirli respirare, sembra quasi toccarli per il fotorealismo in CGI davvero impressionante, l’uso sapiente di panorami realistici è semplicemente mozzafiato.
E alla fine, poco importa se non ci si affezioni poi cosi tanto ai protagonisti come ci è un po accaduto a tutti con la versione cartoon del 1967; complici forse le trascinanti canzoni?
Forse, eppure l’auto-citazione è servita: due celebri motivetti del film d’animazione sono rimasti qui intatti (ma non vi diremo quali).
Un plauso particolare al cast di voci (sia originale che italiano), veramente di lusso: da Bill Murray (Baloo) a Ben Kingsley (Baghera), fino a Idris Elba (Shere Khan) e ad una inedita Scarlett Johansson (il serpente Ka); ma non ci dimentichiamo anche dell’esordiente Neel Sethi nei panni di Mowgli, costretto a recitare l’intero film praticamente da solo; suoi soli compagni le voci dietro i vari animali e un costante schermo verde per la CGI.
Nota: Versione in lingua italiana consigliata per assaporare il divertente lavoro di voci eccellenti, su tutte quelle di Toni Servillo, Neri Marcorè e Giancarlo Magalli.
VOTO: 3/5