La forma dell’acqua – La recensione del film di Guillermo del Toro candidato a 13 Oscar e Leone d’Oro 2017

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Di Simone Fabriziani

La nostra storia d’amore con Guillermo Del Toro era bruscamente terminata nel 2006 con la spietata fiaba in lingua spagnola Il labirinto del fauno, seguita da due passi falsi successivi nella forma del blockbuster Pacific Rim e nel gradevole, seppur esile, Crimson Peak. Il ritorno alla forma (non solo dell’acqua) del regista messicano è sbarcata stamattina al Lido con il cinefilo The Shape of Water, primo colpo di fulmine della redazione alla Mostra del Cinema di Venezia.
Molti appunteranno (tanti lo stanno già facendo) che la nuova favola di Del Toro sia, a conti fatti, una (ri)elaborazione di stili, tematiche e suggestioni visive proprie dell’autore (anche) di Hellboy e il meno strombazzato La spina del diavolo; tutto vero. Ma ad elevare “The Shape of Water” ad uno dei picchi più alti del cineasta messicano è l’amore disinteressato verso i propri personaggi a discapito di una scrittura esile, ma perfettamente funzionale al topos della fiaba, mai imperscrutabile, sempre prevedibile ma ineccepibilmente elevata nelle sue ambizioni morali.
Un po’ La bella e la bestia, a tratti debitrice delle orrorifiche suggestioni di Il mostro della palude, “The Shape of Water” è in buona sostanza una rilettura romantica e appassionata di cosa significhi essere dei “freak”, degli emarginati, dei diversi in un mondo in cui l’estraneità assume i colori multiformi del pregiudizio e dello stigma sociale; inutile quindi sorprendersi se la fiaba incontra le tonalità pastello dell’America tradizionalista e “machista” degli anni ’60, in piena Guerra Fredda. Ed allora ecco che il freak assume non soltanto le sembianze di un mostro delle Amazzoni dai poteri taumaturgici, ma anche quelle di una timida donna delle pulizie muta, della sua collega di colore, del suo coinquilino omosessuale. Mescolando le forme liquide della favola dark, del vecchio cinema sci-fi della Golden Hollywood, il musical dei tempi d’oro e la denuncia sociale, Guillermo Del Toro firma il suo film in lingua inglese migliore, più ambizioso e commovente.
Cast stellare in grande spolvero, su cui però vogliamo citare le straordinarie sfumature della diversità pennellate da Sally Hawkins e Richard Jenkins.
VOTO: 8/10


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