Di Massimo Vozza
La primavera della mia vita è un efficace on the road in una Sicilia quasi nascosta, o quantomeno inedita per la settima arte, tra miti e credenze popolari raccontanti con costante e profonda ironia. Il tono riesce a replicare perfettamente la discografia dei due cantautori siciliani in un efficace mix tra profondità emotiva ed elementi pop, accessibile ma estremamente intelligente; il film infatti si pone sia come un godibile prodotto d’intrattenimento che una narrazione dal significato esistenziale, che ben si accompagna perfino con alcune scene dal sapore surreale.
Il viaggio intrapreso dai due ex amici e colleghi Antonio e Lorenzo non porta solo a una metamorfosi (anche letterale) dei protagonisti e del loro rapporto ma pure a una riscoperta delle proprie radici, dei luoghi che amiamo chiamare casa seppur li si potrebbe aver lasciati per recarsi altrove, in una sorta di epopea dei cosiddetti fuori sede.
Colapesce e Dimartino (in compagnia di alcuni colleghi, tra i quali Madame, Brunori Sas e Roberto Vecchioni) si ritrovano a interpretare alter ego di loro stessi, scrivendo evidentemente di contesti e personaggi che fanno parte della propria vita e che provengono dal medesimo bagaglio culturale (e da quello del regista e dello sceneggiatore Michele Astori, entrambi non a caso ugualmente siculi), riportando alla mente diverse coppie di comici della storia del nostro cinema (da Franco e Ciccio a Ficarra e Picone) ma restando fedeli alla propria identità, mantenendo quindi una cifra originale anche con battute e situazioni che potrebbe dare maggiormente la sensazione di già visto e/o sentito.