Di Simone Fabriziani
Ben e Rose sono due bambini sordi vissuti a cinquant’anni di distanza. Ben abita con la famiglia nel Minnesota del 1977 mentre Rose abita nel New Jersey del 1927. Legati da una misteriosa connessione, entrambi vedono in New York la possibilità di ridare senso alle loro esistenze. Mentre Ben, dopo la scoperta di un appunto della mamma morta, desidera arrivarvi per rintracciare il padre mai conosciuto, Rose vorrebbe invece raggiungerla per vedere il suo idolo, l’attrice Lillian Mayhew. Dalle straordinarie tavolozze del romanzo illustrato di Brian Selznick arriva nelle sale La stanza delle meraviglie, magia cinematografica diretta dal regista statunitense Todd Haynes.
Nelle vesti qui anche di sceneggiatore, Selznick si approccia al mezzo visivo del cinema con grazia e delicatezze, preservando il candore e il senso di ribellione nascosta dei suoi piccoli protagonisti, qui due giovanissimi e promettenti Oakes Fegley e Millicent Simmonds (già apprezzata nell’horror di successo “A Quiet Place – Un posto tranquillo”). Inusuale lungometraggio rispetto alla passata filmografia di Todd Haynes, La stanza delle meraviglie è un racconto multistrato, pieno zeppo di letture, interpretazioni, messaggi allo spettatore, non però privo di evidenti lungaggini e problemi di ritmo.
La stanza delle meraviglie costringe difatti la sua audience di riferimento ad immedesimarsi in un punto di vista inedito; qui i colori, i suoni della realtà sono analizzati e catturati dalla sfavillante fotografia di Edward Lachman attraverso la sordità dei due piccoli protagonisti; straordinario omaggio al pre-sonoro, il film di Todd Haynes funziona nei suoi momenti migliori quando omaggia, con una regia elegantissima, le meraviglie del cinema essenzialmente muto. A cavallo tra due epoche che si intrecciano parallele (il 1927 e il 1977), La stanza delle meraviglie è a maggior ragione un melting pot straordinario di ritmi e melodie musicali: dalle orchestrazioni per pianoforte del cinema prima del suono ai groove della musica di liberazione sociale degli anni ’70; dopo i notevoli omaggi alle grandi rivoluzioni musicali con titoli come Velvet Goldmine e Io non sono qui, Haynes ritrova pane per i suoi denti in un adattamento da un romanzo illustrato per ragazzi che punta alle stelle cantate dalla ricorrente “Space Oddity” di David Bowie.
Storia multi-temporale di gioventù ribelle, di alberi genealogici che si riuniscono, ode alla città di New York nelle sue contraddizioni musicali e apologia della diversità, La stanza delle meraviglie soffre spesso di problemi di ritmo narrativo, nell’ultima ora si naturalizza in un racconto di formazione meno efficace e raffinato rispetto alle straordinarie sperimentazioni del primo atto, eppure c’è così tanto amore per il cinema e i suoi prodigi del raccontare che gli si perdonano anche, le fin in troppe, lungaggini.
Nel cast anche Michelle Williams e il premio Oscar Julianne Moore.
VOTO: 7,5/10