Le terrificanti avventure di Sabrina – La recensione della prima stagione

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Di Gabriele La Spina

Figure pienamente femministe, le streghe hanno da sempre posseduto un proprio filone tra le produzioni cinematografiche: da Le streghe di Eastwick, firmato da George Miller; a Suspiria e Giovani streghe; i cult del genere si sprecano. Tuttavia il piccolo schermo non ha reso giustizia realmente a un personaggio esempio di infinita forza, capace di sradicare le barriere del gender, rendendolo puerile, a volte sciocco, e se è perdonabile in deliziosi cult come Hocus Pocus, lo stesso non può dirsi delle banalizzazioni in serie come Vita da strega, probabilmente il primo esempio televisivo risalente al 1964, o Streghe negli anni ’90. Le streghe meritano di più, e la serialità non è stata generosa. 

Negli ultimi anni però abbiamo visto rappresentazioni forse più degne, da Penny Dreadful, che dedica la sua seconda stagione alle streghe con un’ottica squisitamente goth, alle più celebri streghe di Ryan Murphy, per l’antologia di American Horror Story, nella terza e nell’ottava stagione della serie. Rappresentazioni, però, mai del tutto approfondite, di un personaggio sorprendentemente radicato nella storia; numerosi i racconti di origine medioevale che narrano le vicende di queste figure dannate, perseguitate e incomprese. Che sia nelle mani di Sabrina Spellman il riscatto dovuto?
Nata dalla famiglia degli Archie Comics, la prima apparizione di questo personaggio risale al 1962, per la serie di fumetti “Mad House”, per poi avere un fumetto tutto suo dieci anni dopo, da cui ne derivò anche una serie animata. Ma la vera fama di Sabrina non arrivò prima del 1996, con la serie televisiva in carne e ossa, ennesimo ritratto leggero delle streghe, rappresentate da una teenager pasticciona. Tutto però cambiò, in tempi recenti, quando questo personaggio ebbe un reboot. È tempo per Sabrina di divenire una badass, abbracciare le sue radici sataniche e sporcarsi le mani di sangue. Nel 2014 nasce la collana di fumetti “Chilling Adventures of Sabrina”, a da questa quattro anni dopo, Warner e Netflix, uniranno le forze per dar vita a serie televisiva, ideata dal creatore di RiverdaleRoberto Aguirre-Sacasa.
Sabrina, purtroppo orfana dei due genitori, uno stregone e una mortale, misteriosamente scomparsi (un elemento che avvalora l’affermazione del personaggio come un’eroina dal passato oscuro in stile Batman), è stata cresciuta dalle due zie; l’integerrima Zelda, una tradizionalista, estremamente sagace; e la bistrattata, considerata quasi inetta, Hilda; e con loro vive il cugino Ambrose, confinato da un maleficio tra quelle mura. Fin troppo ingenua, si crogiola nella normalità della sua scuola, attorniata dall’affetto dei suoi amici, compreso Harvey Kinkle, un amore di cui non vediamo le origini, ma solo il suo apice. Una pace che sarà ovviamente spezzata dall’avvento del suo 16° compleanno, quando dovrà compiere l’inevitabile cammino verso l’oscurità, firmando il libro di Satana. Appartenente a due mondi differenti, quello dei valori di amicizia, rispetto e amore, e quello dei sacrifici umani, delle maledizioni e dei riti di resurrezione; Sabrina si ribella alle regole imposte dalla sua comunità, decidendo di percorrere la via del giusto. Fin dai primi episodi vediamo infatti il personaggio adattarsi a questa condizione, sovvertendo quelle regole in nome dell’amore. Eppure ogni scelta ha una conseguenza, ogni cosa ha il suo prezzo, viene spesse volte affermato nel corso della serie; e così la serie inizia pian piano a mostrare il suo vero volto. Quella di Sabrina sarà una parabola discendente, ogni sua azione, seppur a fin di bene, la porterà alla perdita della sua innocenza.

Un comparto estetico, che a volte potrebbe apparire fin troppo laccato, risulta la cornice adatta per una serie che riscatta il genere teen, tra i più prodotti e abusati del piccolo schermo. Un pregio della sceneggiatura degli episodi è infatti quello di saper bilanciare elementi romantici, che in eccesso potrebbero rendere il tutto fin troppo stucchevole, con elementi horror; l’iconica e ridondante frase “Ti amo Harvey Kinkle” di Sabrina, viene ad esempio seguita da una gola tagliata o una visione terrificante, quasi ad avvertire lo spettatore di non adagiarsi su quei toni. Gli autori riescono inoltre a giustificare ogni storyline, lasciando poco al caso, e a sviluppare dignitosamente anche i personaggi secondari. Il divario tra lo show del 1996 e questo, risulta ovviamente abissale, dal personaggio stesso di Sabrina, una teenager malinconica e imperfetta, a quelli delle zie; ad esempio quello di Zelda è un personaggio negativo nei primi episodi, che segue un graduale sviluppo in figura materna. Tutti sono antieroi, commettono errori, atti egoistici, e divengono vittime di sé stessi.
Già vista nella leggendaria serie Mad Men, è Kiernan Shipka a impersonare Sabrina, perfetto volto angelico, che all’apparenza mai commetterebbe atti indicibili; accompagnata da Lucy Davis nei panni di Hilda, e la grandiosa Miranda Otto, in quelli di Zelda, capace di incorporare con sensualità, la fermezza e l’intelligenza del personaggio; Ross Lynch, talentuoso interprete di My Friend Dahmer, nonché ex stellina Disney, è invece Harvey Kinkle. Risulta però la vera scene stealerMichelle Gomez, già vista nella serie Doctor Who, che interpreta Mary Wardwell, apparentemente la professoressa di Sabrina, ma in realtà un’infida creatura demoniaca, la cui vera identità verrà svelata solo nello splendido episodio finale della stagione, dove è la voce narrante.
Non mancano le scelte registiche interessanti da fare invidia ai più riusciti dei recenti horror indie. Complice una fotografia tendente al tetro, con un’illuminazione quasi sempre dettata da luci naturali, i momenti più sinistri vengono accompagnati da sfocature della camera, ma il meglio è rappresentato dai suggestivi flashforward o dalle visioni “rossicce” di Sabrina. Nel primo episodio assistiamo fin da subito a una splendida sequenza, quando Sabrina cerca nel morso della mela di un antico albero, un’illuminazione sul suo destino, assistendo però a un’accecante visione del Signore Oscuro. Il maestoso caprone nero farà capolino più volte nel corso della stagione. Nel corso degli episodi le citazioni si sprecano, dai cult dell’horror come FreaksCarnival of Souls, che fanno da sfondo nelle TV, a Rosemary’s Baby, L’esorcista e i nuovi capostipiti del genere. La scena dell’episodio finale, trae evidentemente ispirazione dall’inarrivabile climax finale di The Witch, gioiello di Robert Eggers del 2015, dove una giovane contadina nel 1630 è vittima dell’estremismo religioso dei suoi genitori, e si ritrova faccia a faccia con il diavolo. I personaggi sembrano inoltre avere una sorta di estetica vintage, quasi anacronistica, che omaggia l’originale serie a fumetti; li vediamo vestire abiti in stile anni ’60 e ’70, e riunirsi in tavole calde à la Grease; un po’ come accade nella serie gemella Riverdale, di cui inizialmente doveva essere uno spin-off, ma che viene lasciata a soli brevi riferimenti.
Le terrificanti avventure di Sabrina, si unisce alle produzioni più riuscite di Netflix capaci di rendere digeribile anche al pubblico più navigato, il genere teen, come Stranger Things; e quasi come l’ormai serie fenomeno dei fratelli Duffers, riesce a dare una rappresentazione più moderna a elementi già masticati nel corso degli anni. Sabrina sembra riscattare una volta per tutte la figura della strega, riportandola alle sue radici storiche, ma rendendola attualizzata, riuscendo a dosare ogni ingrediente senza strafare, come quello magico, non sfociando in una versione al femminile di Harry Potter. Non si tratta di una produzione dalla considerevole profondità narrativa e non pretende di esserlo. La prima stagione della serie Netflix riesce a intrattenere e strappare qualche sorriso con giusta coerenza. Dopo le lotte della sua protagonista, alla ricerca del suo vero posto nel mondo, la stagione si conclude con un cambio di rotta repentino, di cui si avvertiva già da prima il sentore, e che forse aprirà a tutt’altro sviluppo. Si gettano le basi per una serie dal grande potenziale, che tanto ha ancora da dire.
VOTO: 8.5/10