Di Simone Fabriziani
Il film racconta la vita sentimentale e personale del compositore Leonard Bernstein e della moglie Felicia Montealegre: l’incontro a una festa nel 1946, due fidanzamenti, un matrimonio durato 25 anni, tre figli, e le numerose relazioni omosessuali di cui lei era perfettamente a conoscenza. All’apparenza lungometraggio biografico classico nella sua struttura ed ambizione, il Maestro di Bradley Cooper racconta invece molto poco della carriera artisica del leggendario compositore americano di West Side Story, soffermandosi invece sul rapporto burrascoso ma intenso con la moglie Felicia e l’accettazione della propria omosessualità latente. Un modo intelligente di raccontare la mente e i turbamenti di un vero e proprio genio del Novecento attraverso la lente inedita dei suoi sentimenti più intimi e privati, delle sue lesioni interiori prima che della sua arte.
Se quindi ogni forma d’arte è il prodotto della nostre esperienza, delle nostre inclinazini e del rapporto che abbiamo con il mondo che ci circonda, allora il film biografico di e con Bradley Cooper si prende la briga di rifuggire dall’impianto già usurato del “nasce, cresce e corre” del genere cinematografico a cui appartiene, posizionando la sua macchina da presa dapprima in primo e primissimo piano con suoi due protagonisti, poi cambiando spesso angolazioni fino a dirigere alcune delle scene madri a debita distanza dai volti di Leonard e Felicia, quasi come la coppia di Maestro fosse compagnia recitativa di gran classe sul palcoscenico di una commedia brillante e sferzante di Broadway, proprio come quelle che Bernstein rendeva immortali e popolari grazie alle sue composizioni musicali.
Certo, il secondo tentativo dietro la macchina da presa per Bradley Cooper è nonostante tutto manierista e privo di una propria voce distintiva, ma la sensibile sceneggiatura curata dallo stesso autore assieme a Josh Singer e le prove d’attore di Cooper e della sua controparte femminile Carey Mulligan regalano allo spettatore più di un brivido genuino e momenti di rara empatia.
Un carico di umanità che cozza con le ambizioni tuttavia sfacciate del biopic, che di sicuro rivedremo agli Oscar con notevoli candidature, una prova di ansia da prestazione artistica che Cooper mette in scena per rifarsi dalla parziale delusione e dalle velenose critiche che ricevette quando si cimentò dietro la macchina da presa per A Star Is Born. Un paraculo a caccia di statuetta? Un imbonitore mascherato da buon regista mestierante? Intanto Maestro è un’opera ruffiana che, a differenza dei tantissimi progetti ad esso similari per piccolo e grande schermo, non ha paura di giocare a carte scooperte ed emozionare con sprazzi di genuinità il suo pubblico. Un’opera furba, ma fatta anche con il cuore.
Maestro arriverà in sale selezionate nel mese di dicembre e su Netflix per tutti a partire dal 20 dicembre.
VOTO: ★★★★