Di Gabriele Maccauro
anni dopo la palma d’oro per Lo zio Boonmee che si ricorda le vite
precedenti, Apichatpong Weerasethakul torna sulla Croisette con Memoria (nelle sale italiane a partire dal 16 giugno) con cui, a
Cannes74, si è aggiudicato il premio della giuria presieduta dal regista
statunitense Spike Lee.
Il
film racconta la storia di Jessica, interpretata da Tilda Swinton (qui anche in
veste di produttrice), che non riesce più a dormire dopo aver sentito un forte
rumore, un boato che lei definisce come “una palla di cemento che cade in
un pozzo circondato da acqua”. Inizia così la ricerca di una risposta riguardo l’origine di questo boato che però si trasformerà presto in un viaggio all’interno della mente, nella memoria, in ricordo di un passato sopito ma mai del tutto cancellato. Come Rick, il personaggio interpretato da Christian Bale nel Knight of Cups di Terrence Malick, la ricerca di Jessica si svolge tramite lunghe camminate, luoghi da scoprire e persone da incontrare, ponendo l’accento su domande riguardanti la vita di non poco conto.
Memoria è lontano dall’essere un film perfetto, la narrazione non è sempre puntuale ed
il ritmo, di per sé lento, a tratti può sfociare nella noia o pesantezza. Eppure, nonostante condivida più di un aspetto con il film di Malick del 2015, l’obiettivo che si prefissato è diverso. Le immagini che Weerasethakul costruisce e la sua estetica non sono fini a se stesse ma aiutano a dare maggior respiro al film. Il tempo risulta essere un fattore determinante: il tempo che separa Jessica dalle sue azioni e dai suoi ricordi passati, che quasi trascende fino a farli sembrare talmente lontani da far parte di vite precedenti. Inoltre, il film è di un regista thailandese, ambientato in Colombia e dove spesso e volentieri la comunicazione avviene mescolando lo spagnolo all’inglese con un mix di lingue, culture ed usanze.
Tutti
questi fattori possono superficialmente sembrare inutili o slegati tra loro e,
con i tempi così dilatati e lenti, ciò può certamente rendere più faticoso per
lo spettatore seguire il film ma, scavando in profondità, non si può non notare
un fil rouge che unisce tutti questi elementi ed il film passa dall’essere
vicino a Malick all’essere, paradossalmente, più vicino all’eleganza straziante
di Tsai Ming-Liang ed a David Lynch per il suo uso del suono e per le sue tinte
surrealiste. Nonostante le sue imperfezioni, Memoria è un film di cuore, nato dalla mente di un grande autore che, sapientemente, tiene bassi i toni della sua opera.
La
risoluzione finale, che tanto ha fatto discutere, è fuorviante in quanto non si
tratta del punto focale dell’opera su cui riflettere, ma lo sono l’inclusività,
il tempo che scorre inesorabile lasciando cicatrici indelebili nel cuore e
nell’anima, i ricordi e gli scherzi che ci gioca la nostra memoria, l’amore. Memoria non è un film riuscito al 100% ma è un film che merita la visione e che alla base ha una raffinatezza, un’eleganza ed una forza che, nel cinema d’oggi, è sempre più raro trovare. Si tratta di un film che non va solo guardato ma anche ascoltato, vissuto lasciandosi travolgere, perché ogni singola persona potrà trovarci dentro qualcosa di unico, un messaggio che sembra scritto solo per lei.
Alla
fine le emozioni sono tutto ciò che abbiamo e sarebbe un peccato non lasciarsi
trasportare da essere durante la visione di un film a scapito di una
fantomatica oggettività che, nel cinema, serve sempre fino ad un certo
punto.
Memoria debutta nelle sale italiane con Academy Two a partire da giovedì 16 giugno