Monkey Man

Monkey Man, la recensione del film con Dev Patel

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Monkey Man
Dev Patel in una scena del film – fonte: Universal Pictures

Di Massimo Vozza

A dimostrazione che il cinema è un eterno ritorno, un ciclo continuo di idee e stimoli che si presentano agli spettatori sotto una nuova luce a opera di generazioni differenti, esce oggi in sala, grazie al coinvolgimento di Jordan Peele e Universal, Monkey Man, debutto alla regia del giovane attore londinese di origini indiane Dev Patel.


Il progetto, coprodotto da Stati Uniti e Canada, è un’ambiziosa opera action che racconta la messa in atto di una vendetta in una realtà a tratti distopica, a tratti molto vicina a precisi contesti odierni dal punto di vista politico, economico e sociale, che si distacca dalla maggioranza delle produzioni nelle quali ha recitato il suo regista che qui veste anche i panni del protagonista.
Monkey Man è un film crocevia tra il mondo dei cinecomic e Bollywood, passando per famosi titoli di genere contemporanei quali la saga di John Wick. Un’operazione cinematografica, verrebbe da dire, a tratti tarantiniana, principalmente per la traccia cinefila che guida interamente il prodotto. La violenza poi diviene anche qui puro intrattenimento, senza rinunciare però a una componente drammatica che si avvicina inesorabile ai titoli di denuncia, riuscendo a comunicare in modo vivo al pubblico dell’oggi attraverso temi come lo sfruttamento del territorio, il ruolo della donna nella società, gli abusi di potere delle forze armate e soprattutto il divario sempre più ampio tra chi vive in uno stato di benessere e chi in uno di povertà.

Sharlto Copley in una scena del film – fonte: Universal Pictures


La maniera con la quale la fotografia si concentra sui dettagli, con una mdp a mano per la maggioranza del tempo molto vicina ai volti e corpi dei personaggi, insieme al montaggio frenetico, caratterizzano l’estetica di Monkey Man; queste immagini si alternano con momenti più distensivi e dilatati, segnati da un’atmosfera quasi eterea, come alcune scene flashback del protagonista in compagnia della madre e altre sequenze strettamente legate al discorso spirituale portato avanti nel film.

Una scena d’azione di Monkey Man – fonte: Universal Pictures


Certo, a volte questa scelta stilistica risulta ridondante e a livello narrativo sembra esserci uno sbilanciamento tra prima e seconda parte del racconto ma questo non va a scapito dell’esperienza in toto e nel risultato che bilancia abbastanza bene intrattenimento puro e la pretesa di affrontare anche questioni tutt’altro che banali. Patel insomma anche in veste di regista ha sicuramente del talento sul quale vale la pena investire il proprio tempo e il prezzo del biglietto.

VOTO: 3.5/5


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