Nancy – La recensione del film con Andrea Riseborough e Steve Buscemi premiato al Sundance

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Di Daniele Ambrosini

Presentato al Sundance Film Festival del 2018, Nancy è uscito da Park City con il premio alla miglior sceneggiatura e recensioni entusiaste per la sua protagonista, la sempre brava e coraggiosa Andrea Riseborough. A distanza di oltre un anno dalla distribuzione statunitense, il film dell’esordiente Christina Choe arriva anche nelle sale cinematografiche italiane. 

Protagonista del film è Nancy, una donna di trentacinque anni che vive con la madre malata di Alzheimer, della quale si prende cura, cosa che limita molto la sua vita di tutti i giorni. Nancy non ha quasi nessun contatto con il mondo esterno, se non attraverso il suo lavoro part time o il suo blog per genitori che affrontano la perdita di un figlio. Dopo la morte della madre, Nancy scopre la storia dei Lynch, una coppia la cui figlia di cinque anni è stata rapita trent’anni prima e che le assomiglia moltissimo, questo la costringe a guardarsi indietro e a mettere in dubbio il suo passato. Senza pensarci troppo decide di contattarli e di incontrarli. 
Nancy è un film breve e incisivo, che fa dell’essenzialità il suo punto di forza. Ma soprattutto è un film che non è in grado di cavalcare in maniera intelligente la materia narrativa e di comprendere a pieno i propri punti di forza. A ben guardare le premesse di Nancy sono quelle di un thriller psicologico, e come tale è stato pubblicizzato, ma nonostante anche la fotografia invernale dai toni freddi assecondi questa sensazione, il film della Choe è in realtà un interessante studio su un singolo personaggio, Nancy, che sfrutta gli elementi del cinema di genere senza mai realmente diventare un film di genere, perché non ne ha affatto bisogno. Non è la vicenda, il mistero che sta alla base, ad essere protagonista e a sopraffare i personaggi che la popolano, come spesso capita nei thriller nudi e crudi, che sono film fatti di eventi più che di persone, di colpi di scena e di rivelazioni clamorose. Qui la componente del dubbio è solamente una premessa, una scusa per inserire Nancy in un ambiente diverso dal suo e metterla in relazione con la possibilità che il suo mondo venga capovolto. Forse è più vicino ai codici del noir, ma anche qui vale lo stesso discorso, la Choe sfrutta elementi del genere, senza mai realmente aderirvi. 
Nancy è un film fatto di piccole cose dove ad essere al centro di tutto è Andrea Riseborough. Un film dove non è tanto importante se Nancy sia effettivamente o meno la figlia dei coniugi Lynch, ma come questo finisca, poi, per lavorare su di lei. E quando la rivelazione arriva, non sembra tale, tanto non sembra essere fondamentale per nessuno, perché, in fondo, non è mai stato quello il punto. 
Fa molto bene la Choe a non buttarsi subito a capofitto nella questione familiare dei Lynch, ma a rimandare quanto più possibile quell’incontro, perché senza l’adeguata dose di contesto l’intera operazione sarebbe potuta crollare, perché a farne le spese sarebbe stata proprio Nancy. Non bastava una breve introduzione, era necessario passare del tempo – e precisamente passa quasi mezzo film – in una condizione diversa per permettere allo spettatore di conoscere, e non immaginare, la differenza. Una condizione che per quanto non idilliaca, non viene neanche eccessivamente caricata in senso negativo, cosa che fa sì che risulti realistica, che arricchisca il background del personaggio senza risultare forzata in termini narrativi. 
Unica nota dolente in questa continua ricerca di asciuttezza e incisività è la tendenza a lasciare aperte molte questioni secondarie che non troveranno mai una reale conclusione, ma finiranno solamente per lasciare un senso di incompiutezza. Il più grande mistero irrisolto del film riguarda proprio un aspetto del passato di Nancy che avrebbe potuto avere una fortissima risonanza, perché estremamente pertinente alle spinose questioni familiari che il film va mettendo in gioco. E, a dirla tutta, se la sottovalutatissima J. Smith-Cameron, vista in Succession, riesce a brillare al fianco della Riseborough, tutti gli altri interpreti non hanno la stessa fortuna perché i loro archi narrativi vengono sacrificati per lasciare Nancy al centro di tutto; il personaggio dalle potenzialità meno sfruttate è sicuramente quello di Steve Buscemi, che, nonostante nell’ultimo atto del film inizi ad acquisire un’importanza sempre maggiore, finisce per essere lasciato in secondo piano senza che per lui arrivi mai la quadratura del cerchio.
Nancy, perciò, non è un film perfetto, ma un film che pur non avendo utilizzato al meglio certi elementi di trama, è comunque riuscito a creare una storia intrigante senza la necessità di strafare, sfruttando la semplicità e l’essenzialità della scrittura e della messa in scena per creare un ritratto intrigante di un personaggio complesso, del quale, però, avremmo voluto sapere di più.
VOTO: 7/10