No Time to Die | La recensione del capitolo finale di 007 con Daniel Craig

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Di Dario Ghezzi

James Bond e Madeleine Swan sono a Matera, dove l’agente segreto al servizio di Sua Maestà deve chiudere i conti col passato: visitare la tomba dell’amata Vesper e dirle addio per sempre. Tuttavia, per Bond non c’è pace: la Spectre lo vuole ancora morto. E, c’è di più: Bond crede che la stessa Madeleine lo abbia tradito, così le dice addio e si ritira a vita privata in Giamaica. Tuttavia, il suo vecchio amico Felix gli chiede aiuto per fermare i piani del perfido Safin, che sta sfruttando una ricerca segreta dello scienziato Obruchev per qualcosa di malvagio. Riuscirà Bond a fermare il piano di questo temibilissimo nemico?

Ci siamo: dopo oltre un anno di rinvii arriva, finalmente, al cinema il nuovo capitolo di 007, No time to Die, l’ultimo film della saga interpreto da Daniel Craig nelle vesti del protagonista. No time to Die arriva nell’era post-Covid 19 e, neanche a farlo a posta, la minaccia che James Bond e l’MI6 sono chiamati a sventare è una sorta di virus personalizzato che colpisce in base al DNA.

Il regista Cary Fukunaga in 2 ore e 43 minuti, insieme agli sceneggiatori Neal Purvis, Robert Wade e Phoebe Waller-Bridge, ce la mette tutta per chiudere il cerchio e imbastire il gran finale dell’epopea di James Bond o, meglio, dello stesso Craig. 

E, in questo gran finale, ci sono ovviamente elementi perfettamente centrati ed altri che non funzionano. Ad esempio, è apprezzabile un certo innesto nella narrazione di momenti incredibilmente non-sense o di un certo humor che, sulla carta, stonerebbe con l’atmosfera cupa e drammatica che aleggia su questo film fin dalle prime scene ma che qui calza perfettamente. Interessante, in questo tentativo, la sequenza cubana che unisce azione tipicamente bondiana, sequela di colpi di scena ma anche momenti più leggeri incarnati da Ana De Armas. Sicuramente, la prima parte di No time to Die resta quella più intensa e anche quella con più scene d’azione. L’epicità finisce per svanire poco a poco con l’avviarsi di quello che, dopo un certo momento in poi, sembra un finale scontato. Purtroppo. E anche altri risvolti sono ben intuibili fin dall’inizio della pellicola. 

In questo film della saga c’è anche molto romanticismo, incarnato dalla figura di Madeleine, a cui presta il volto Lea Seydoux. Ma, non c’è pellicola di 007 senza cattivo e quello che proprio non funziona, purtroppo, è il villain interpretato da Rami Malek. Il perfido Safin imbastisce un piano mefistofelico per motivazioni poco chiare e non riesce ad avere quel carisma che si addice ad una sorta di villain definitivo. Non a caso, anche il confronto decisivo con James Bond viene liquidato in fretta e senza quel pathos che la trama richiederebbe. 

Interessante, anche se convincente in parte, l’introduzione di un nuovo agente con licenza di uccidere, Nomi, interpretata da Lashana Lynch che però non sembrerebbe avere quelle carte in regola ventilate all’epoca della riprese da molti giornali, che volevano una donna e per di più di colore come punto di partenza per un reboot della saga. Quello che è certo è che, nel bene e nel male, No time to Die chiude per sempre un capitolo della longeva saga di 007. Un capitolo, appunto, perché c’è da scommettere che tempo un paio d’anni e verrà rimesso in produzione un nuovo film sull’agente segreto più famoso del cinema. 

Del resto, “non è ancora tempo di morire”.

VOTO: ★★★


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