Passengers – La recensione

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Di Simone Fabriziani

Dopo l’ottimo esordio internazionale con il pluripremiato The Imitation Game, il regista norvegese Morten Tyldum cavalca nuovamente l’onda del successo in lingua inglese e dirige le superstar Jennifer Lawrence e Chris Pratt, passeggeri solitari su una nave spaziale in rotta verso il nuovo sistema Homestead II.

A risvegliare il sonno criogenico di Jim ben 90 anni prima della programmazione è un malfunzionamento della nave spaziale Avalon; solo e completamente inerme di fronte ad una navicella abitata da 5000 passeggeri ancora dormienti, il protagonista decide di risvegliare la bella scrittrice Aurora. Sarà l’inizio di un lento corteggiamento scandito dal lento movimento della nave nello spazio profondo, croce e delizia delle sorti dei novelli Adamo ed Eva, la cui aspettativa di sopravvivenza è appesa ad un filo.
A rimescolare il mito di Adamo ed Eva nel Giardino dell’Eden ci pensa Tyldum affiancato dalla scrittura di Jon Spaiths, già ferrato nel genere sci-fi con i precedenti lavori in “Prometheus” e più recentemente “Doctor Strange”, facendolo però nella maniera più convenzionale possibile.

Ad abbassare la notevole quantità di aspettativa legata all’avventura romantica in solitaria delle star Lawrence  e Pratt è proprio il livello oltre la soglia dell’accettabilità di stilemi narrativi e di cliché di genere, sia fantascientifico che sentimentale.
Assolutamente scevro di piglio autoriale ed impegno nel pur accettabile corredo visivo, il secondo film in lingua inglese di Morten Tyldum mescola in modo convenzionale la più becera delle storie d’amore in rotta di collisione (e il pensiero non può che riportare al kolossal Titanic di James Cameron, qui palesemente omaggiato in più di una sequenza) sfruttando lo star power di due interpreti che, tra dialoghi forzati e poca chimica di coppia, svolge forse fin troppo adeguatamente un compitino che non farà tuttavia bene alle carriere (anche autoriali) di Lawrence e Pratt, se non ai loro profumati cachet. A rubare dunque la scena ai due protagonisti è l’androide Michael Sheen, contropeso ironico in un profondo spazio di banalità.
Da prendere con le pinze e maneggiare adeguatamente, senza troppe aspettative.

VOTO: 5/10




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