Piccole Donne – La recensione dell’adattamento di Greta Gerwig con Saoirse Ronan e Timothée Chalamet

Seguici anche su:
Pin Share

Di Daniele Ambrosini

Greta Gerwig, dopo il successo internazionale e i riconoscimenti ottenuti con il fenomeno indie Lady Bird, fa il suo ritorno dietro la macchina da presa con un nuovo adattamento di Piccole Donne, il romanzo seminale di Louisa May Alcott, già portato sul piccolo e grande schermo numerose volte in passato. Ad aiutarla a dare vita a questa versione moderna e frizzante del grande classico della letteratura c’è un cast d’eccezione che comprende Saoirse Ronan e Timothée Chalamet, già protagonisti del suo film d’esordio, ma anche Laura Dern, Meryl Street, Emma Watson e Florence Pugh.

Piccole Donne segue la storia delle sorelle Jo, Meg, Beth e Amy March. Quattro giovani donne che, mentre il padre è lontano da casa a combattere per il Nord nella guerra di secessione americana, devono affrontare varie problematiche personali ed economiche. Sorrette dalla loro amorevole madre, le ragazze sviluppano delle personalità forti e molto differenti, che le portano a intraprendere strade diverse nella vita, ma sempre sostenendosi a vicenda. La vera protagonista del film, però, è la Jo di Saoirse Ronan, una donna indipendente e sicura di sé con un talento per la scrittura che la porterà a narrare la storia della sua famiglia. 
Quello firmato dalla Gerwig è un adattamento intelligente, dal piglio moderno, in grado di unire in una narrazione coerente gli eventi di “Piccole donne” e del suo seguito letterario “Piccole donne crescono” sfruttando due diverse linee narrative, ma anche di rendere omaggio alla loro autrice, cogliendo la chiave autobiografica della sua opera e rendendola centrale nell’ultima parte del film, che fa andare di pari passo il personaggio di Jo con la figura di Louisa May Alcott, in una specie di revisionismo filmico che ha un ché di tarantiniano e offre una chiave di lettura interessante dell’opera della Alcott nell’era del femminismo 2.0. 
La Gerwig realizza un altro ritratto di formazione al femminile dal tono leggero, in grado di divertire e commuovere. Piccole Donne, a ben vedere, non è poi così concettualmente distante da Lady Bird, anzi, ne è una perfetta continuazione. I temi continuano ad essere quelli dell’emancipazione femminile e della presa di coscienza di sé, ciò che cambia è lo sfondo sul quale questo discorso si sviluppa e le implicazioni che da esso derivano. E poi c’è la stessa freschezza e naturalezza nei dialoghi e nelle interazioni tra i personaggi che aveva caratterizzato quella prima prova dietro la macchina da presa, così come anche i suoi precedenti script, il che ci ricorda che la Gerwig è una sceneggiatrice incredibilmente abile. Piccole Donne, infatti, è un film scritto molto bene, che ha, però qualche difetto nella messa in scena, nel passaggio dalla pagina allo schermo.

La narrazione portata avanti su due linee temporali funziona molto bene su carta, il problema è che a lungo andare diventa un po’ macchinosa e ripetitiva, soprattutto perché il meccanismo con cui sono accostate le scene sulle due linee temporali, improntato a mostrare il “prima” e il “dopo” di varie situazioni, rimane uguale a sé stesso per tutta la durata del film. Piccole Donne ha, perciò, una struttura teoricamente solida, che però su schermo finisce per danneggiare il ritmo complessivo del film per via della sua natura episodica. Vista le necessità di dare vista a non uno, ma bensì due romanzi con una struttura non dissimile, la scelta della Gerwig appare più che funzionale in fase di scrittura, ciò che manca è qualche variazione alla struttura stessa del film, a questo rigido impianto narrativo, che ne ravvivino un po’ la narrazione. A non aiutare, sotto questo punto di vista, ci sono anche una fotografia e un montaggio, che nonostante nel complesso non siano malaccio, sono incapaci di assecondare e ravvivare i cambi temporali, e qua e là hanno anche qualche piccolo problema di continuità scenica.

Insomma, Piccole Donne non è un film perfetto, ma alla fine poco importa. Quello di Greta Gerwig è un film con un cuore, un film molto passionale, che al di là di qualche incertezza e qualche difetto riesce a parlare ad un pubblico universale, a divertire e commuovere. È questo quello che conta di più quando si riaccendono le luci in sala e il pubblico si alza dalla poltrona. E questo gli va riconosciuto, perché la Gerwig ha evidentemente realizzato un film costellato di personaggi con i quali è facile entrare in sintonia, grazie soprattutto ad una scrittura empatica, in grado di rendere giustizia alle diversità e alle peculiarità di ognuna delle sorelle March.

Eccellente è il lavoro fatto con gli attori, perché se una cosa è diventata chiara con Piccole Donne è che la Gerwig è una regista che, nonostante qualche carenza da qualche altra parte (l’impianto visivo, purtroppo, non è ai livelli di Lady Bird), lavora molto bene con i suoi interpreti. Se la Ronan e Chalamet sono due conferme, a stupire maggiormente in Piccole Donne sono in primis Florence Pugh, che, nonostante sia un po’ troppo grande (e quindi teoricamente fuori parte) per il ruolo che ha per metà del film, riesce a sembrare sempre credibile e ad affrontare in modo coerente ed aggraziato il percorso di crescita più complesso del film, e Emma Watson, che ha il personaggio più ostico, per via delle sue vedute non proprio progressiste, ma nonostante questo riesce a brillare, come forse non ha mai fatto prima d’ora. Meryl Streep, Laura Dern, Chris Cooper, Bob “Better Call Saul” Odenkirk e persino Eliza Scanlen hanno ruoli minori, a cui è dedicato poco, alle volte pochissimo spazio, ma risultano estremamente funzionali, che è esattamente ciò che è richiesto in termini narrativi ai loro personaggi.

VOTO: 7,5/10