Di Gabriele La Spina
Con un primo episodio dalla durata di oltre un’ora, Pose ha introdotto al piccolo schermo lo scorso giugno una serie di personaggi apparentemente sui generis; vedevamo un gruppo di donne rapinare un museo per degli abiti regali soltanto per partecipare, vincere e poi lasciare in manette, una gara di ballo, il vogueing, per l’esattezza. Eppure scavando in profondità oltre quella patina, all’apparenza artefatta, abbiamo imparato a conoscere personaggi che rappresentano un po’ ognuno di noi.
Abbiamo visto Elektra Abundance, madre della House of Abundance, interpretata da Dominique Jackson, che veste i panni di una sorta Joan Crawford, dal rapporto conflittuale con i figli, ma desiderosa di raggiungere la propria completa metamorfosi; il personaggio di Elektra ha infatti portato luce sul malessere emotivo e sul travagliato percorso psicologico che compie una donna transgender per il suo cambio di sesso definitivo. Blanca, interpretata da Mj Rodriguez, la cui scoperta di aver contratto il virus dell’AIDS, la porta a un cambio di prospettiva, al desiderio di realizzazione umana, aprendo così la sua House of Evangelista; un sentimento che la muove nell’adozione di Damon, Ryan Jamaal Swain, un giovane ballerino cacciato di casa dai genitori, che inserisce così la tematica del coming out, ma che al contempo, con i suoi occhi ardenti dal nuovo, rappresenta il pubblico stesso che si immerge nella realtà di Pose. E infine Angel, l’eterea Indya Moore, che si prostituisce per poter vivere, il cui incontro con Stan, Evan Peters; un uomo dalla radicata perversione verso le donne transgender, ma che in parte si innamora della ragazza; la travolge in una travagliata storia d’amore.
Ma se negli anni ’80 la comunità gay era soggetta a discriminazioni, quale è stato il trattamento riservato alle transgender? Oltre alle tematiche relative alle storyline dei personaggi e alla loro indole, Pose inserisce dei frangenti che denunciano realtà finora mai raccontate. Nel secondo episodio dal titolo “Access”, abbiamo infatti visto Blanca, come una Rosa Parks del movimento LGBT+, battendosi per il suo posto in un popolare bar per gay dove le transgender non sono ammessi. Nel quarto episodio dal titolo “The Fever”, è stata invece mostrata una rete sotterranea newyorkese di ritocchi estetici clandestini, che in casi estremi portano donne come Candy, criticata ai balli per il suo aspetto “skinny”, alla distruzione del proprio corpo. Ma è il trattamento della tematica dell’AIDS, strada già battuta numerose volte da prodotti televisivi e cinematografici, a risultare il più delicato. Da Blanca che porta il segreto con sé fin dal primo episodio, sentendolo come una spada di Damocle sul suo collo, fino a Prey Tell, interpretato da un sorprendente Billy Porter, che vive il tremendo dramma sia sulla sua pelle sia su quella dell’uomo che ama. Nel sesto episodio, “Love Is the Message”, la serie insegna come una comunità dilaniata da un tale flagello abbia imparato a rialzarsi e continuare a vivere celebrando ogni caro perduto.
Da un’idea di Steven Canals, la cui vita ha ispirato alcuni dei personaggi della serie, ma creata insieme al duo Brad Falchuk e Ryan Murphy, quest’ultima serie di FX, già rinnovata per una seconda stagione; è stata l’aria di novità, freschezza e coraggio che mancava alla televisione americana. Un nuovo modo di raccontare e un’autenticità assente dal più blasonato dei prodotti televisivi attuali. Ma la vera rivoluzione di Pose non è un cast quasi interamente composto da attrici transgender, il primo nella storia; né l’audacia di interpreti quasi tutti alla loro prima esperienza attoriale. Bensì il saper intersecare concetti e continui messaggi con una solidità dello script purtroppo assente negli ultimi progetti di Murphy. Pose coniuga in qualche modo diversi generi, dal musical al dramma da piéce teatrale; come non ricollegare la prima scena del primo episodio, “Pilot”, a un film di Baz Luhrmann, mentre lo scontro familiare del settimo episodio “Pink Slip”, a un dramma come August: Osage County.
Messo da parte il prominente filone narrativo dedicato alle tematiche gay, in Pose primeggia su ogni cosa un unico messaggio dal valore universale, dal primo fino al suo ultimo episodio. La serie, definibile a tutti gli effetti come un family drama, racconta un’epoca, quella degli anni ’80, la “Trump era”, quando ancora non si trattava di un presidente ma di un’imprenditore simbolo di un’America economicamente fiorente; dove al contrario i veri progressisti sono gli outsider. Il significato di famiglia viene così scardinato e ricollocato in un contesto per molti inusuale. Senza perdere mai un colpo, ogni episodio di Pose afferma la comunità LGBT+ come movimento non solo dei diritti gay ma del progresso affettivo. Tra ambientazioni stylish, ineccepibili costumi, regie ispirate; meravigliosa quella di Murphy per il primo episodio nonché quella di Janet Mock per “Love Is the Message”, e interpretazioni da non professionisti, così cariche, versatili, da far paura ai nomi hollywoodiani più celebri; Pose rappresenta l’eccellenza del piccolo schermo sotto ogni punto di vista.
VOTO: 10/10
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