Di Simone Fabriziani
Da un’idea originale dello stesso Snyder e una sceneggiatura originale scritta a sei mani dal regista assieme a Shay Hatten e Kurt Johnstad, Rebel Moon è un deludente fallimento cinematografico, da qualunque angolo lo si voglia guardare ed analizzare più in profondità. Il cineasta statunitense autore di 300, Watchmen e Justice League mette da parte l’eredità fumettistica che ha da sempre alimentato il suo cinema “fracassone” per dipingere un universo fantascientifico coerente e complesso, tale da rivaleggiare con sage cinematografiche del calibro di Guerre Stellari e Dune. E così, a cavallo sbilenco tra ambizioni da “nuovo George Lucas” ed omaggio a suggestioni narrative appartenenti all’immaginario di Akira Kurosawa o alla letteratura sci-fi di Frank Herbert, Zack Snyder pone la sua firma su un doppio appuntamento per il piccolo schermo opaco e presuntuoso.
A partire dai protagonisti che impreziosiscono Rebel Moon, capitanati da una pur volenterosa Sofia Boutella incapace però di portare sulle sue spalle un progetto targato Netflix di tale magnitudo. Il fatto che Rebel Moon – Parte I: Figlia del fuoco debutti in esclusiva sulla popolarissima piattaforma di streaming potrebbe però essere la strategia più consona per vendere e distribuire alla più vasta platea di spettatori possibile questo debole mélange di generi e suggestioni narrative, che tuttavia intrattiene nelle sue oltre due ore di durata. Che uno sperato successo di utenti durante le festività natalizie possa essere l’inizio di un passaparola positivo? I numeri saranno senz’ombra di dubbio dalla sua parte, ragione sufficiente affinché l’attenzione mediatica per la Parte II: La Sfregiatrice (in arrivo a marzo 2024) si protragga per i prossimi mesi. Ma non può e non deve bastare.
Perché il retrogusto che rimane in bocca alla fine del finale (apertissimo, ovviamente) di Rebel Moon è quello di un’occasione persa per Snyder. Il regista statunitense che sì si era specializzato in grandi blockbuster con un’impronta visivo-narrativa amata e allo stesso tempo odiata da molta stampa del settore e da una buona fetta di pubblico generalista, abbandona le sue istanze fumettistiche ed allestisce un ambizioso seppur difettoso spettacolo cinematografico insospettabilmente fuori tempo massimo.
Perché ci sembra piuttosto inspiegabile che un protagonista, nel bene e nel male, così essenziale per il cinema pop degli ultimi venti anni, si riduca a realizzare non uno, bensì due capitoli narrativi di una saga che prende poco elegantemente in prestito situazioni, elementi e personaggi da una o l’altra saga, cinematografica o letteraria che sia. Una maniera forse di stabilire per Snyder una volta per tutte i suoi modelli ispiratori dietro la macchina da presa, di ieri ed oggi? Un suicidio artistico però, alla luce di un panormaa cine-televisivo contemporaneo in cui l’universo di Guerre Stellari è sempre più in espansione e la fantascienza politica di Herbert sta per tornare il prossimo anno con il ben più atteso Dune: Parte II.
VOTO: ★★