Roma 2017: Detroit – La recensione del nuovo film di Kathryn Bigelow

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Di Simone Fabriziani

A Detroit nel 1967 è in corso una delle più grandi e più intense rivolte della storia degli Stati Uniti. Due giorni di disordini e la notizia della presenza di armi vicino al motel Algiers spingono la polizia a intervenire ricorrendo a interrogatori sempre più violenti che causeranno morti e feriti. Da un fatto di cronaca che ha ambiato per sempre gli equilibri della comunità afroamericana degli Stati Uniti pre-era Kennedy la regista premio Oscar Kathryn Bigelow  firma il suo film forse più classico ma allo stesso tempo più viscerale.



Scritto dal fido sceneggiatore e compagno di vita della cineasta Mark Boal, Detroit affonda la sua forza narrativa non tanto nel racconto filologico e semi-documentaristico dei sanguinosi avvenimenti che hanno messo a ferro e fuoco la città statunitense nel 1967, ma nel saper gestire e mescolare sapientemente differenti livelli di racconto, diversi registri cinematografici; non è dunque sorprendente che la Bigelow passi con ammirevole disinvoltura dalla costruzione della tensione al tessuto narrativo classicheggiante del courtrtoom drama.





Oscillando dunque tra dinamismo dell’azione e potere della parola, il Detroit di Kathryn Bigelow e di Mark Boal è un racconto per il grande schermo multiforme, sorprendente e accattivante; non meno il plauso va all’ottimo cast di giovani interpreti assembrati per riportare in vita le rivolte del 1967 divenendo tasselli imprescindibili del grande affresco storico della regista di The Hurt Locker; su tutti, John Boyega, Will Poulter, Hannah Murray e Anthony Mackie. Un dipinto furoreggiante di sangue e lacrime che rimane gli occhi e nella coscienza dello spettatore ben oltre la prima visione ben oltre le polemiche innalzate dalla comunità afroamericana alla presentazione del film negli Stati Uniti pochi mesi fa.  Grande cinema, nonostante tutto.

VOTO: 8/10


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