Roma 2018: Il vizio della speranza – La recensione del film di Edoardo De Angelis

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Di Daniele Ambrosini

Dopo lo straordinario successo riscosso con Indivisibili, vincitore di ben 6 David di Donatello nel 2016, il regista partenopeo Edoardo De Angelis torna a girare a Castel Volturno, una delle zone più povere d’Italia, per raccontare una storia del tutto diversa da quella del suo film precedente. Scartato a Venezia, ed accolto a braccia aperte dalla Festa del Cinema di Roma, Il vizio della speranza è un’opera riuscita a metà che però continua a mettere in mostra le incredibili doti registiche del suo autore.

Protagonista del film è Maria, che per guadagnarsi da vivere consegna donne incinte nelle mani di trafficanti di bambini che li vendono sul mercato nero ad un prezzo abbastanza alto da sembrare l’unica possibilità per molte di quelle donne, soprattutto africane e prostitute (o entrambe le cose), che intravedono in quel denaro una possibilità di ricominciare. Un giorno tutto cambia: Maria,  alla quale in seguito ad una violenza subita quando era piccola era stato detto che non avrebbe mai potuto avere figli, rimane incinta. Dare alla luce il bambino vuol dire quasi sicuramente la morte per lei. Una consegna andata male ed una rinnovata speranza la convincono a fuggire. 
De Angelis firma la sceneggiatura del film insieme a Umberto Contarello, assiduo collaboratore di Paolo Sorrentino. I due costruiscono uno script dalla struttura interessante che però non sono in grado di sfruttare al meglio. Se strutturalmente risulta evidente la solidità dell’impianto narrativo messo su dai due sceneggiatori, è innegabile che poi non siano stati in grado di sfruttare al massimo le occasioni offerte da una concatenazione di eventi studiata ad arte. Ogni dialogo sembra sempre troppo superficiale, infarcito di frasi fatte o ad effetto (come quella che da il titolo al film), e mai realmente incisivo come pretende di essere. La quasi totale inconsistenza delle parti dialogate fa si che neanche un personaggio secondario, una volta giunti alla fine del film, risulti adeguatamente sviluppato o approfondito. Maria è sola in tutto il film, anche quando non lo è fisicamente sullo schermo: è l’unico personaggio su cui ciò che accade ha un qualche tipo di effetto nella sua evoluzione, è l’unico personaggio che compie un percorso. Ed il suo percorso, costruito come una grande e fantasiosa metafora, è l’unica cosa che sembra realmente interessare a De Angelis e Contarello, ai quali va dato il merito di essere quanto meno riusciti a creare una protagonista riuscitissima. Poche battute (decisamente un bene) e molti silenzi per lei, il volto spigoloso con lo sguardo dolce di Pina Turco, come quello di Bjork in Dancer In The Dark, basta ad illuminare la scena.

Il vizio della speranza è l’ultimo tassello in un quadro più ampio del nostro cinema, ormai sempre più interessato a quell’universo narrativo lì: il realismo, anzi, il neo-neo-realismo. Dogman, La terra dell’abbastanza, Sulla mia pelle e così via; in un solo anno abbiamo avuto una nuova esplosione del cinema realista, quel cinema che guarda con sguardo fortemente disilluso alla realtà italiana e non ha paura di rappresentarla. Il guaio con questi film è che più tentano di sembrare “veri” e più si rende evidente che siano costruiti a tavolino, tanto da sembrare più falsi di quei film che invece scendono a patti con l’impossibilità di riprodurre il reale e decidono di creare un proprio codice di linguaggio puramente cinematografico, quelle opere che sono fortemente consapevoli del mezzo che stanno utilizzando. Interessante è il compromesso fatto, per esempio, da Alice Rohrwacher che con il suo Lazzaro Felice ha adottato gli stilemi del film realista per costruire una favola squisitamente cinematografica, e in fondo non aveva fatto qualcosa di molto diverso Da Angelis con il suo Indivisibili. Perciò questa svolta cattiva, terribilmente disillusa appare un passo indietro rispetto al ben più fresco Indivisibili, qui De Angelis realizza un film crudo, di pancia,  che ricerca costantemente emozioni facili, completamente privo delle attenzioni che rendevano la sua opera precedente tanto gradevole, finendo per dare vita ad un film così eccessivamente spigoloso da risultare artefatto e non realmente genuino, insomma questa ricerca di “verità” lo porta a mancare di sincerità narrativa.
Ma una cosa bisogna dirla: Edoardo De Angelis dirige questo film con una sicurezza incredibile, creando immagini potenti e alle volte bellissime. Non è in dubbio che lui sia uno dei migliori registi italiani attivi in questo momento. Il vizio della speranza non sarà un film riuscitissimo, ma è anche molto lontano dal potersi dire un brutto film, soprattutto per la bravura di De Angelis nel tenere le fila di una sceneggiatura tutto sommato non eccelsa ed uscirne a testa alta. 

VOTO: 6,5/10

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