Di Daniele Ambrosini
Il tre volte candidato all’Oscar Edward Norton aveva fatto il suo esordio alla regia nell’ormai lontano 2000 con Tentazioni d’amore, una commedia romantica dove era anche protagonista, al fianco di Ben Stiller e Jenna Elfman. Passati quasi vent’anni da quella prima prova dietro la macchina da presa, Norton torna a dirigere sé stesso in un film molto diverso dal precedente. Motherless Brooklyn, tratto dall’omonimo romanzo di Jonathan Lethem, infatti è un film giallo, dalle tinte noir.
Protagonista del film è Lionel Essrog, un investigatore privato con la sindrome di Tourette bonariamente chiamato Brooklyn dal suo capo e amico Frank Minna, colui che l’ha salvato dalla strada e avviato alla sua professione. Quando Frank muore a seguito di una sparatoria, Lionel decide di trovare i responsabili e chiarire il mistero dietro la sua morte. Frank stava indagando su una questione delicata ed aveva accumulato informazioni preziose che qualcuno non voleva fossero rese pubbliche. Spetta a Lionel risolvere l’intricata trama di questo caso che comprende una delle figure più potenti della città e la figlia del gestore di un locale jazz dei quartieri poveri.
Quello diretto da Norton è un film investigativo in piena regola, che aspira ad essere un noir vecchia scuola ma che fa il grande errore di non aderire ai canoni del genere, nel tentativo di creare una commistione tra crime drama e commedia che non solo svilisce la materia narrativa, ma finisce anche per rendere tutto meno accattivante e intrigante. Motherless Brooklyn non abbraccia mai il lato più oscuro dell’investigazione, e pur avendo un personaggio in continuo conflitto per far valere il proprio io in un mondo ostile, nonostante tutte le difficoltà che questo comporti, quello scontro interno al personaggio non viene mai realmente affrontato, anzi, viene delegato ad un voice-over non necessario che va ad esplicitare tutti quegli elementi che sarebbero dovuti rimanere impliciti e passare attraverso la semplice messa in scena. Norton, così facendo, punta a creare un legame di empatia con lo spettatore, ma lo fa nel modo più facile possibile, ovvero tentando di annullare e giustificare le stranezze del suo protagonista. Perché Lionel è pieno di tic, dice la prima cosa che gli passa per la testa e ripete in continuazione “Se!” senza un motivo apparente, ma siamo proprio sicuri che annullare la diversità di quel personaggio esplicitando da subito, con una voce narrante che corrisponde ai pensieri del protagonista, che lui in realtà non è così, che nella sua testa è meglio di quanto non sembri ad un occhio esterno? L’impressione è che così facendo si cerchi di rendere il personaggio più gradevole e la narrazione più semplice, ma che non si stia facendo il bene né dell’uno né dell’altra.
In Motherless Brooklyn, poi, si ride di Lionel nella stessa misura in cui si ride con lui, perché questa sua condizione viene sfruttata per generare ironia, che il più delle volte risulta fuori luogo. A non essere ben chiaro, in questa strana e malriuscita commistione di generi, è il tono della pellicola, che non si capisce mai quanto seriamente vada presa e quanto quell’ironia di fondo sia da considerarsi voluta. A non aiutare è proprio quella mancata adesione ai canoni del noir di cui prima, la totale assenza dei toni più cupi che rende il film difficilmente inquadrabile. Non lo si potrebbe definire neanche un thriller, tanto lo sviluppo della tensione è secondario, pure nel climax finale, che finisce per risultare incredibilmente blando.
Motherless Brooklyn, volendo essere sinceri, è un film debole, del tutto inoffensivo e dimenticabilissimo. Un film piatto, sia narrativamente che (soprattutto) visivamente, incapace di catturare lo spettatore, tanto le sue mancanze lo rendono privo di mordente. Divertente a tratti, sì, ma non sempre in senso positivo, Motherless Brooklyn finisce per sembrare la parodia di sé stesso, nonostante un cast di gran classe che comprende Gugu Mbatha-Raw, Bruce Willis, Alec Baldwin, Willem Dafoe, Bobby Cannavale, Cherry Jones e Michael K. Williams, che non riesce ad emergere in un film estremamente Norton-centrico.
VOTO: 5/10