Di Daniele Ambrosini
In Pupazzi alla riscossa – UglyDolls i giocattoli conformi agli standard escono dalla fabbrica e finiscono in un istituto dove vengono addestrati e preparati per il Grande Mondo, ovvero per essere assegnati al loro bambino; ma i giocattoli con degli errori di produzione, finiscono in un luogo separato chiamato Uglyville. Le bambole di Uglyville vivono felici, ma separate dal resto del mondo, una di loro, Moxy, sogna il Grande Mondo, ma tutti gli altri sono convinti sia solo una leggenda. Un giorno, Moxy e i suoi amici trovano un passaggio che li porta nell’istituto di Perfezione, dove il meschino giocattolo che ne è capo, Lou, tenterà di ostacolarli in ogni modo e di riportarli ad Uglyville.
Il cartone della STX Entertainment, che doveva essere l’esordio nel mondo dell’animazione di Robert Rodriguez, ma è poi stato affidato a Kelly Asbury, regista di Shrek 2 e Gnomeo e Giulietta, è un film sulla diversità e la sua accettazione, dove il messaggio da veicolare è più importante del film in sé. UglyDolls è uno dei numerosi film animati che nascono da brand di giocattoli, così come i recenti film targati Lego e Playmobil, ma diversamente da altri prodotti simili, il film di UglyDolls sembra essere una vera e propria trovata commerciale per portare il marchio sotto gli occhi di nuovi bambini, potenziali clienti ancora ignari di desiderare di possedere uno di quei pupazzi.
La storia di fondo è semplicissima, forse troppo pure per un film rivolto ad un pubblico di under 6. Quella dell’accettazione della diversità è una tematica ricorrente nei film d’animazione, e visto il clima sociale odierno è un bene che messaggi simili siano rivolti ad un pubblico di giovanissimi, tuttavia, laddove altri film con lo stesso target si sono sforzati di creare una storia concreta per veicolare quel messaggio, magari anche creando delle associazioni o delle metafore intelligenti in grado di parlare ai più piccoli e di intrattenere i più grandi, UglyDolls non va per il sottile e decide di esplicitare quanto più possibile, il messaggio qui non è un punto d’arrivo, ma l’intera trama. C’è uno una linea narrativa molto esile che grida diversità fin dall’inizio e che è semplicemente uno spunto per cavalcare continuamente quella tematica, reiterando in maniera abbastanza fastidiosa sempre lo stesso concetto. Pupazzi alla riscossa – UglyDolls potrebbe essere riassunto in una sola frase, tanto è banale e tanto poco è necessario il film che è costruito intorno a questi giocattoli.
Altra nota dolente è la musica. UglyDolls è un film pieno di musica, ma non ne ha bisogno, tanto le canzoni vanno a parare sempre lì, e senza neanche cercare un modo originale o accattivante di farlo. Le canzoni contenute nel film sono una lunga serie di inni motivazionali a misura di bambino dal gusto pop commerciale incredibilmente datato che risultano piatte e tutte molto simili tra loro. Il sound è così fuori moda, che si ha un po’ l’impressione di star ascoltando a distanza di anni la (brutta) playlist di un compleanno dei nove anni festeggiato nel lontano 2005, una di quelle situazioni in cui non si può fare a meno di provare un certo imbarazzo. Eppure i doppiatori originali del film sono tutti musicisti affermati della scena pop contemporanea, come Kelly Clarkson, che di inni motivazionali ne ha cantati di bellissimi, Nick Jonas, Pitbull, Blake Shelton e Janellè Monàe, Bebe Rexha, Lizzo e Charli XCX, tra le cantanti pop più innovative del panorama contemporaneo. Una vera occasione sprecata, per un film che poteva essere, quantomeno, musicalmente interessante. Peccato.
VOTO: 4,5/10