ROOM – La recensione

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Di Maurizio Cordaro

Quattro mura, una madre e il figlio rapiti dal vecchio Nick e intrappolati nella “room”. Questo è ciò che è servito a Lenny Abrahamson per sviluppare questa angosciante e cruda storia, adattata per lo schermo dalla stessa autrice del romanzo best-seller Emma Donoghue (edito in Italia da Mondadori con il titolo Room. Stanza, letto, armadio, specchio). Una storia che vuole raccontare l’agonia e la sofferenza di una ragazza intrappolata nell’inferno, l’infermità mentale di alcune povere persone, dell’amore di una madre per il proprio figlio ma sopratutto vuole raccontare l’innocenza, la sincerità e la purezza di un bambino.
Il film segue una linea diretta e precisa, dando tanto spazio alle emozioni e sensazioni dei personaggi focalizzandosi sulla forza dell’amore e della speranza.
Unica l’interpretazione di Brie Larson nei panni della madre rapita, Joy, una reale e concreta immedesimazione del personaggio, una vera e cruda dimostrazione di speranza, disperazione e pazzia su un fatto che non possiamo neanche immaginare. Interpretazione che le è valsa meritatamente una sfilza di onorevoli premi tra cui l’Oscar 2016 come Miglior Attrice Protagonista. La vera rivelazione, forse per tenerezza, è però Jacob Tremblay (9 anni) nei panni di Jack, figlio di Joy anch’esso imprigionato nella “room”. Incredibile come riesca a trasmettere la paura e allo stesso tempo il coraggio della scoperta e l’acquisizione della fiducia verso la madre. Tremblay è riuscito ad entrare perfettamente nel personaggio, meritandosi la nomination ai SAG 2016 e vincendo come Miglior Rivelazione agli NBR.  Room è un film che colpisce l’anima, spiegando, con una trama quasi surreale, come l’amore, la speranza e la sincerità siano le cose più importanti al mondo per andare avanti nella vita, perché anche in una piccola e insignificante stanza si può trovare il senso della vita stessa quando tutto svanisce.

VOTO: 3/5

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