Di Massimo Vozza
Ricordate quando da bambini ci raccontavamo storie dell’orrore tra amici, spesso con le luci spente e in condizioni di isolamento ricreate appositamente per immergerci nell’atmosfera giusta? Ecco, il nuovo film di André Øvredal è esattamente un omaggio a quella tradizione infantile e/o adolescenziale che si sta perdendo. Scary Stories to Tell in the Dark però non è una raccolta di eventi dislocati e fini a se stessi, una narrazione episodica insomma, seppur sia in effetti tratto dall’omonima serie di libri per ragazzi scritta da Alvin Schwartz che raggruppa, per l’appunto, storie autoconclusive. Si tratta invece della vicenda di un gruppo di teenager americani del ‘68 che si ritrovano a dover affrontare nella vita reale i propri personali incubi per la medesima ragione: l’aver violato una casa abbandonata la notte di Halloween, dietro la quale si cela una leggendaria vicenda dai risvolti drammatici e inquietanti.
L’appello a paure universali (quella per il buio, per ciò che ha le fattezze di un essere vivente senza esserlo, per i ragni, per la morte), l’abitazione per così dire stregata, il gruppo di liceali: ci sono tutti gli ingredienti più classici eppure il film è qualcosa di più, che vuole andare oltre, anche quando non riesce fino in fondo nei propri intenti. Quello imposto dal genere primario di quest’opera, lo spaventare, è in più occasioni riuscito, soprattutto grazie a una costruzione cinematografica delle scene (tra suono, fotografia e montaggio) riuscita perché coordinata da una buona prova di regia, anche quando risulta prevedibile; non prevedibile è stata decisamente la trovata non da poco di non mostrare mai una sola goccia di sangue. Il risultato generale vede così la sostituzione dello splatter, che spesso cammina a braccetto con l’horror, con un tocco gotico e fantasy che rende il film probabilmente più accessibile, puntando quindi non particolarmente sull’immagine cruenta in sé ma sulla costruzione filmica che strizza in più occasioni l’occhio al cinema di del Toro (in particolare Il labirinto del fauno e Crimson Peak), qui in veste di produttore e soggettista.
Tra gli altri intenti del film vi è quello di raccontare anche un particolare periodo degli Stati Uniti (la guerra in Vietnam, Nixon), accostando così l’orrore di finzione con quello reale; l’idea, potenzialmente buona, poteva essere approfondita maggiormente e magari non fermarsi al coinvolgimento di un unico personaggio e ai filmati di repertorio trasmessi in televisione. Dall’altra parte, invece, si è voluto parlare di isolamento, del diverso, temi privati che soprattutto all’età dei protagonisti risultano assai importanti, peccato però che nella risoluzione di questi argomenti si sia un po’ peccato di originalità.
Scampata l’impressione iniziale di un prodotto alla Stranger Things, Scary Stories to Tell in the Dark si dimostra il perfetto titolo per un’iniziazione al cinema horror rivolto alle nuove generazioni e comunque un piacevole, a tratti spaventoso, intrattenimento per un pubblico veterano del genere, dove si torna a dare una certa importanza alla narrazione orale e soprattutto a quella scritta, ritornando al passato ma parlando a chi vivrà il futuro, esattamente come la canzone Season of the Witch di Donovan che, dopo aver aperto il film, ci viene riproposta nei titoli di coda da Lana Del Rey.
VOTO: 7/10