Se son rose – La recensione della nuova commedia romantica di Leonardo Pieraccioni

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Di Daniele Ambrosini

Leonardo Pieraccioni torna davanti e dietro la macchina da presa per la tredicesima volta, a distanza di tre anni da Professor Cenerentolo, con Se son rose, una commedia romantica con un cast principalmente femminile che tenta una riflessione sulle relazioni coppia e l’amore dopo il compimento dei cinquant’anni.

Protagonista del film è Leonardo, un giornalista di successo che si occupa di tecnologia e novità legate al mondo del web. Leonardo è un uomo dal carattere vivace, ma ormai del tutto disilluso. Il suo matrimonio fallito e le numerose relazioni andate male, lo hanno convinto di non essere più in grado di impegnarsi in una storia d’amore. Sua figlia, convinta di aiutare il padre a riprendere le redini della sua vita e speranzosa di risanare il loro rapporto, decide di inviare lo stesso messaggio a tutte le sue ex: “Sono cambiato. Riproviamoci!”. Le inaspettate risposte di alcune di loro, porteranno Leonardo a fare una serie di incontri che gli faranno rielaborare il suo passato e comprendere meglio la sua situazione attuale, fino a convincerlo a trovare la forza di amare di nuovo.
Se son rose è una commedia dalle ambizioni piuttosto elevate, Pieraccioni infatti desidera rielaborare un genere che fino ad ora aveva approcciato in maniera più fanciullesca, in una chiave più riflessiva e, verrebbe da dire, più matura. Un tentativo, quello di Pieraccioni, di lavorare su sè stesso, analizzando situazioni e/o fatti del suo passato nel tentativo di trarne qualcosa di buono, portando alla commedia un pizzico di malinconia. E Pieraccioni, coadiuvato dal co-sceneggiatore Filippo Bologna – già autore di Perfetti Sconosciuti, Quanto basta e Cosa fai a Capodanno? – ci prova davvero ad elevare questo suo ultimo film dal campo della commedia fine a sè stessa, si vede, ma evidentemente provarci non basta. Se son rose è un film palesemente pensato per un pubblico generalista che non ha alcuna voglia di tenere il cervello acceso durante la visione, perciò qualunque tentativo di elevare la materia trattata resta, per l’appunto, solo un debole tentativo; gli autori non hanno la forza, o forse la volontà, di discostarsi da clichè e strutture ricorrenti della commedia romantica, non fanno mai quel passo in più. Ciò che funzionava con i trentenni, funziona allo stesso modo anche con i cinquantenni, perciò non c’è bisogno di cambiare la formula per davvero, basta mascherarla il giusto dietro a qualche battutina sulle generazioni social e sul tempo che passa ed il gioco è fatto. O no? 
Ciò che stupisce più in negativo, però, di un film che altrimenti sarebbe stato anche accettabile, dati gli standard piuttosto bassi della commedia italiana recente, è il trattamento quanto meno ingiusto che viene riservato ai personaggi femminili. Se son rose è trainato da un cast di comprimarie femminili piuttosto variegato, una cosa piuttosto insolita nel nostro cinema, e pur essendo capitanato da un uomo, non sarebbe affatto sbagliato definirlo un film al femminile. Peccato però che tutti i personaggi femminili nel film abbiano la sola funzione di soddisfare le necessità del protagonista maschile. Una visione distorta e intrinsecamente maschilista, basata su stereotipi e falsa saggezza popolare, che vuole le donne come un peso da sopportare, per quanto sopportabile, per ottenere qualcosa da loro. Ogni singola donna nel film viene strumentalizzata ed è vista come un oggetto del piacere per il protagonista, o un suo surrogato, come nel caso della figlia. La caratterizzazione di questi personaggi è quasi sempre legata solamente a queste necessità e al loro percorso relazionale con altri uomini. Vergognoso, se non proprio indecente, è il trattamento riservato al personaggio interpretato da Antonia Truppo, un transgender in fase di transizione messo lì per creare ilarità ed essere fatto oggetto di scherno, per convogliare le insicurezze del protagonista; un personaggio che è più una macchietta sessista che un vero personaggio. La Truppo, vincitrice di due meritatissimi David di Donatello in tempi recenti, merita decisamente di meglio.
Recitato in una maniera che oscilla tra il terribilmente teatrale al palesemente svogliato, appesantito da un inutile e spesso forzato accento toscano, diretto in modo blando e scritto superficialmente, Se son rose è una commedia romantica che predica bene e razzola male; un film che ci ha provato ad essere qualcosa di più, ma che è stato bloccato dalle limitatissime capacità di chi l’ha realizzato.
VOTO: 4/10



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