Di Simone Fabriziani
Nel Dicembre del 1964 il carismatico leader del movimento per i diritti dei cittadini di colore Martin Luther King Jr. riceve per i suoi meriti per la lotta contro la discriminazione sociale il premio Nobel per la Pace, nella perplessità e nell’indignazione di molte fazioni degli Stati Uniti del Sud ancora troppo legato alla discriminazione sociale sui neri.
La decisione successiva di King e suoi fedeli collaboratori di sempre è di spingere il fulcro della manifestazione per il diritto al voto per i cittadini neri nella piccola città di Selma in Alabama, a 50 miglia circa da Montgomery, sede del Governo federale; nella cittadina soltanto il 2% della gente di colore ha il diritto di voto politico e sembra essere il campo di battaglia ideale per un’ultima, grande prova di coraggio e democrazia per il Dr. King. Il film diretto dalla talentuosa Ava DuVernay (“Middle of Nowhere“) racconta proprio delle vicissitudini che hanno portato alle storiche marce di centinaia di migliaia di militanti e semplici cittadini pronti a battersi per valori essenziali quali democrazia, libertà ed uguaglianza per tutti i cittadini di fronte all’uomo e a Dio.
Accompagnata da un ricco cast che vede schierarsi il granitico e d imponente
David Oyelowo nei panni di Martin Luther King,
Oprah Winfrey (qui anche in veste di produttrice del film), e i britannici
Tom Wilkinson e
Tim Roth nei panni del Presidente degli Stati Uniti Lyndon B. Johnson e il Governatore dell’Alabama George Wallace, la regista afro-americana sposta l’attenzione della narrazione su due fronti distinti: da una parte il racconto filmico verte sugli aspetti più privati e tumultuosi di King e della sua famiglia, costantemente influenzata dagli svariati pericoli e minacce politiche che ogni giorno riceve a causa della visibilità pericolosa del capofamiglia, dall’altra la narrazione invece si carica di energia e tensione con i resoconti, estremamente dettagliati ed efficaci, delle marce dalla città di Selma a Montgomery che nulla risparmiano allo spettatore delle atrocità inferte dalla polizia e dalle guardie civili ai cittadini neri che hanno pacificamente lottato per l’inalienabile diritto al voto e per pari diritti civili e sociali. La risoluzione arriva finalmente il 6 Agosto del 1965 con la firma dello storico
Voting Rights Act da parte del Presidente Johnson.
La pellicola risulta alla fine un ottimo compromesso narrativo tra apologia della figura di King, qui dipinta come un predicatore dalla straordinaria tenacia in pubblico e dilaniato del timore e dalle incertezze nella vita privata, e il racconto emotivamente efficace dei soprusi inferti alle minoranze nere nello Stato dell’Alabama negli Anni 60 e della straordinaria storia di lotta e forza di spirito che ha condotto all’uguaglianza dei cittadini di colore di fronte alle leggi dell’uomo.
Un film denuncia più che vero atto di onestà intellettuale da parte della regista e dello sceneggiatore Paul Webb, sempre in perfetto equilibrio tra verità storica e enfasi emotiva, ma mai coraggioso fino in fondo nel mostrarci le difficoltose dinamiche tra potere politico e potere del popolo che hanno portato al trionfo di King e al diritto di voto, risultando in definitiva in un film “necessario” ma intellettualmente disonesto, a tratti irritante nella visione manichea che propone alle spettatore delle figure del “potere bianco” (Johnson, Wallace), sempre ottuse e involontariamente macchiettistiche, in contrapposizione a King e seguaci, attraversati si da tensioni e dubbi interni, ma sempre e comunque difensori assoluti del bene comune in un gioco tra bene e male che in un film che ritrae uno straordinario passo in avanti per la civiltà occidentale proprio non convince.
VOTO: 2,5/5