Serenity – La recensione del thriller con Matthew McConaughey e Anne Hathaway

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Di Anna Martignoni

Baker Dill è un pescatore solitario che vive su un’isola sperduta in mezzo all’oceano; da molto tempo il suo unico scopo sembra essere quello di catturare un tonno gigante che ossessiona ogni suo pensiero. Tra un giro al largo e l’altro i giorni sulla terraferma trascorrono monotoni, fino a quando l’uomo non riceve la visita della sua ex Karen: la donna, stanca delle continue violenze che lei e il figlio sono costretti a subire dall’attuale marito, propone a Baker di ucciderlo e gettarlo nell’oceano in cambio di una cospicua somma di denaro. Il protagonista dovrà compiere una scelta che cambierà le sorti dell’intera isola. 

Steven Knight, prolifico sceneggiatore che ha regalato al pubblico mondiale gioielli quali Peaky Blinders e La promessa dell’assassino, approda alla sua terza regia sei anni dopo Redemption – Identità nascoste e Locke con Serenity – L’isola dell’inganno. E qui l’inganno sembra essere onnipresente: esso si cela nella creatura misteriosa che Dill (Matthew McConaughey) intende catturare, si ritrova in Karen (Anne Hathaway), algida donna segnata da un passato e da un presente tormentati e nello stesso destino del protagonista. Apparentemente i presupposti che rendano Serenity una pellicola degna dei più famosi noir -più che un vero e proprio thriller- ci sarebbero tutti: un protagonista perseguitato dai suoi stessi pensieri, una femme fatale di lui ancora innamorata nonostante i trascorsi (e, sveliamo, un figlio in comune) e un antagonista violento e arrogante da dover affrontare. Baker Dill veste i panni del classico anti-eroe, un uomo solitario ormai assuefatto dai poteri ammalianti del rum che accompagna le sue giornate e che ha perso ormai la cognizione del tempo, non ricordandosi più nemmeno il giorno in cui è approdato su quell’isola così misteriosa. Egli si divide tra i pomeriggi piovosi in compagnia dell’attempata Constance (Diane Lane) e le lunghe giornate in mare aperto con Duke (Dijmon Hounsou), unica figura amica in un’esistenza così eremitica.


Il twist narrativo ci viene fornito da Knight (qui anche sceneggiatore) attraverso la figura di Karen, una donna che, in modo del tutto fuori luogo, ostenta la sua infinita ricchezza ma in realtà quello di cui necessita veramente è l’aiuto del suo ex compagno e padre di suo figlio; e che aiuto: l’intenzione di Karen è di assoldare Dill come suo killer personale per uccidere il marito Frank (Jason Clarke), uomo fedifrago e violento sia nei confronti di Karen che del figliastro. Fino a qui potrebbe sembrare tutto molto lineare e anche un po’ scontato; ma ecco che entra in scena Reid Miller (Jeremy Strong), figura tanto enigmatica quanto bizzarra: egli è un innocuo rappresentante di macchinari per la pesca (sembra essere uscito da un film di Wes Anderson), che in realtà detiene un potere straordinario, quello di far tornare sulla retta via Baker Dill e di fargli cambiare idea circa il piano da attuare insieme alla ex compagna, giunta sull’isola in veste di distrazione da un progetto più ampio che Miller intende far portare a termine al protagonista. 
In un gioco di luci e di ombre, di seduzione e mistero, Knight ci proietta in una cartolina idilliaca, un luogo affascinante dove però niente è come sembra. Sebbene siano presenti all’inizio del film spunti davvero interessanti, Serenity-L’isola dell’inganno si perde strada facendo per diverse ragioni. In primo luogo, la scarsa performance da parte dell’intero cast: se McConaughey riesce in alcuni momenti a recitare in modo convincente, la Hathaway risulta annoiata dal ruolo affidatole, davvero troppo simile (ma non all’altezza) della Selina Kyle/Catwoman interpretata per Christopher Nolan; di nessuna importanza rivestono le parti della Lane e di Hounsou, che sembrano capitati nella pellicola per caso. L’altro punto a sfavore presente nella pellicola di Knight è la troppa carne al fuoco prevista dalla sceneggiatura: lo spettatore viene fuorviato dalla natura stessa del film, non capendo se si trova di fronte ad un thriller, ad un noir alla Hitchcock o ad un film di azione; come se non bastasse, nella parte conclusiva interviene anche la componente fantascientifica che, sebbene renda il finale del film originale, porta il tutto ad essere ancora più confusionario. La pellicola di Knight fa promesse ma poi non le mantiene, prendendosi troppo sul serio risultando così quasi parodistico.
VOTO: 5/10 


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