Di Simone Fabriziani
La sazietà non è pregio della saga cinematografica di maggior successo al botteghino e nella cultura popolare di tutti i tempi: tre trilogie (una in corso), due spinoff (ma a quanto pare a breve sarà annunciato il terzo), una serie televisiva in live-action in arrivo nel breve futuro; e poi una valanga di merchandising e la religione adorante della comunità nerd più nerd di sempre. Star Wars è il fenomeno multimediale imprescindibile sfornato dalle menti della New Hollywood, un sistema in rivoluzione interna che a partire dagli anni ’70 ha cambiato per sempre il modo di raccontare l’epica per tutte le famiglie.
Dopo l’ottimo successo di critica, ma un po meno di pubblico, del primo spinoff del 2016 Rogue One: A Star Wars Story, qui si cambia decisamente tono ed atmosfera; dalla grettezza e severità del racconto disperato e senza speranza del film di Gareth Edwards, in Solo: A Star Wars Story si passa repentinamente verso un modo di raccontare le origini del più scapestrato contrabbandiere della Galassia dal sapore della avventura cristallina. Il passaggio di regia dalla coppia Phil Lord e Chris Miller a quella del veterano premio Oscar Ron Howard confeziona una montagna russa di roboanti sequenze d’azione su cui però ad onor del vero fa fatica a poggiarsi una scrittura solida.
Howard ammanta le inquadrature dei fuggi fuggi del giovanissimo Han Solo (la promettente star in ascesa Alden Ehrenreich) in una fotografia pastosa e fumosa, e nel grigiore dei chiaroscuri abbacinanti dei pianeti della Galassia mette in posizione i vari e nuovi personaggi come pedine di una scacchiera regolata dalla dura legge della criminalità e del contrabbando, unica ed inalienabile merce di scambio nel sottobosco della Galassia; a porsi come pedina privilegiata in un gioco di cui nessuno può fidarsi di nessuno, c’è il contrabbandiere Han Solo, ragazzo dal cuore d’oro con un grande sogno: diventare il più scaltro e veloce pilota delle stelle.
Se però la nuovissima trilogia di Star Wars sta procedendo attraverso un progressivo processo di de-strutturazione dei propri contenuti e nel progressivo svecchiamento e disaffezione verso un certo fan base puro e duro, nello spinoff di Ron Howard si attua invece un processo di ri-strutturazione, portando sul grande schermo un racconto per immagini snello e poco impegnato, divertito e non necessariamente serioso; un progetto “sicuro” dove contenere un universo narrativo coerente e fin troppo inquadrato nella rispettosità di una saga decennale che soltanto lo scorso anno con il bistrattato Star Wars: Gli ultimi Jedi aveva iniziato un necessario cammino di ringiovanimento e aggiornamento con le sensibilità odierne più consono alla narrativa cinematografica post-moderna.
Ottimo il cast di contorno ad Ehrenreich, da Woody Harrelson a Emilia Clarke, da Paul Bettany fino ad un inedito Donald Glover nei panni di Lando Calrissian. Il prossimo film in solitaria potrebbe essere il suo.
VOTO: 6,5/10