Split – La recensione

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Di Simone Fabriziani

Mettete tre ragazze adolescenti dell’America medio borghese di oggi e un pazzo psicopatico dalle ventitré personalità che le rapisce e le rinchiude in un bunker sotterraneo, sorvegliate soltanto da alcune delle personalità più bizzarre e pericolose di Kevin (James McAvoy). Un incubo che non avrà, forse, fine e su cui il maestro del thrilling e del plot twist per eccellenza M.Night Shyamalan affonda i suoi esperti denti regalando allo spettatore forse il suo miglior film da anni.

Split è un film apparentemente senza facile classificazione: è un ottimo e teso thriller tutto giocato sullo stereotipo del carceriere un po schizzato e delle sue numerose vittime, un intelligente disamina in chiave post-moderna delle potenzialità sempre crescenti del cervello umano, un divertente spaccato cinematografico del disturbo delle personalità multiple, ma soprattutto è forse il lavoro più personale ed auto-citazionista dell’autore di capolavori della tensione narrativa come “Il Sesto Senso”, “Signs” e “The Village”.

Proprio come la mente disturbata di Kevin, il film di Shyamalan è una creatura in continua trasformazione nelle mani del regista; sfidando e giocando con i generi cinematografici del thrilling, “Split” scavalca le costrizioni della classificazione a tutti i costi e si appoggia sulle maestose spalle di un James McAvoy mai cosi eclettico dando vita al frutto più personale del regista di origine indiana.
Dotato dell’immancabile colpo di scena finale (che dona il senso più intrinseco e compiuto di tutta l’opera e che qui non sveleremo), l’undicesimo lungometraggio di Shyamalan propone in definitiva qualcosa di completamente innovativo all’interno della poetica del regista, affondando le radici sia nel cinema di genere che omaggia apertamente, sia nell’universo di alcuni dei suoi film precedenti in maniera sorprendente ed inaspettata.
Nel cast anche la nuova scream queen statunitense Anya Taylor-Joy, reduce dal capolavoro horror The Witch.

VOTO: 7,5/10


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