Di Gabriele La Spina
Messi da parte i retroscena della blasonata famiglia Versace, il secondo volume della serie American Crime Story, sempre più spoglia dell’appellativo ma ancor di più della sua valenza, dedica il suo terzo episodio interamente ad Andrew Cunanan. Perché dopotutto, così come ne Il caso O. J. Simpson, è pur sempre l’assassino il vero protagonista, e qui vediamo un ulteriore tassello della sua costruzione.
Ambientato nell’arco di una settimana l’episodio introduce i personaggi di Lee Miglin, uomo d’affari e filantropo, e sua moglie Marilyn, creatrice di prodotti di bellezza. I due partecipano a eventi benefici, vivono una solida relazione lunga 38 anni, ignari del male che incombe su di loro. Lee nasconde alla moglie la sua omosessualità, che lo porta all’incontro con Cunanan, che lo renderà la sua terza vittima. Ancora una volta la carenza di contenuti in The Assassination of Gianni Versace si fa sentire, e assistiamo all’ennesimo feticcio di Cunanan per la tortura e la sottomissione, e ulteriori indagini di una caccia all’uomo infruttuosa per l’FBI. E mentre Darren Criss persiste in manierismi, non così sottili, sulla gestualità omosessuale, a risplendere e salvare notevolmente l’episodio è solo un’interprete: Judith Light. Testimonianza che per una buona performance non servano scimmiottanti imitazioni e accento mal riuscite, come per l’assente Penelope Cruz nei panni di Donatella Versace, l’attrice già vista nella premiata serie di Amazon, Transparent, offre quella che è al momento la miglior prestazione della serie. Divide e mangia la scena di Criss, nelle vesti di Marilyn Miglin, una donna che nega la vera natura del marito, di fronte all’evidente messaggio di Cunanan che ne circonda il cadavere con delle riviste di pornografia gay, e oscilla dalla totale freddezza, in un mood quasi grottesco per una situazione simile, all’immensa fragilità. E nel primo piano della scena finale, dove durante il suo ritorno alle televendite rigorosamente in abito nero, ricorda il marito e chiude gli occhi in un profondo sospiro, la Light si dimostra maschera di straordinaria comunicazione del piccolo schermo. Sarà forse il caso di un Emmy come guest star?
Ambientato nell’arco di una settimana l’episodio introduce i personaggi di Lee Miglin, uomo d’affari e filantropo, e sua moglie Marilyn, creatrice di prodotti di bellezza. I due partecipano a eventi benefici, vivono una solida relazione lunga 38 anni, ignari del male che incombe su di loro. Lee nasconde alla moglie la sua omosessualità, che lo porta all’incontro con Cunanan, che lo renderà la sua terza vittima. Ancora una volta la carenza di contenuti in The Assassination of Gianni Versace si fa sentire, e assistiamo all’ennesimo feticcio di Cunanan per la tortura e la sottomissione, e ulteriori indagini di una caccia all’uomo infruttuosa per l’FBI. E mentre Darren Criss persiste in manierismi, non così sottili, sulla gestualità omosessuale, a risplendere e salvare notevolmente l’episodio è solo un’interprete: Judith Light. Testimonianza che per una buona performance non servano scimmiottanti imitazioni e accento mal riuscite, come per l’assente Penelope Cruz nei panni di Donatella Versace, l’attrice già vista nella premiata serie di Amazon, Transparent, offre quella che è al momento la miglior prestazione della serie. Divide e mangia la scena di Criss, nelle vesti di Marilyn Miglin, una donna che nega la vera natura del marito, di fronte all’evidente messaggio di Cunanan che ne circonda il cadavere con delle riviste di pornografia gay, e oscilla dalla totale freddezza, in un mood quasi grottesco per una situazione simile, all’immensa fragilità. E nel primo piano della scena finale, dove durante il suo ritorno alle televendite rigorosamente in abito nero, ricorda il marito e chiude gli occhi in un profondo sospiro, la Light si dimostra maschera di straordinaria comunicazione del piccolo schermo. Sarà forse il caso di un Emmy come guest star?
Ma messa da parte la gradita partecipazione della Light, questa seconda stagione continua a barcollare nel delineare un percorso ben preciso, già alla soglia della sua metà non giustifica ancora la sua realizzazione colmando la totale mancanza di contenuto. La ripetizione di meccanismi negli omicidi di Cunanan e l’incertezza narrativa, seguendo linee sempre differenti e spesso confuse, rappresentano probabilmente finora alcuni dei maggiori difetti di questo secondo capitolo.
VOTO: 6.5/10